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Direttori del volume Pier Daniele Napolitani Ken'ichi Takahashi
Collaboratori
Introduzione
1 Le opere del corpus ottico di MaurolicoIn questo volume sono raccolte le quattro opere giunte fino a noi tra quelle che Maurolico scrisse nel campo dell'ottica: i Photismi de lumine et umbra, il De erroribus speculorum, i Diaphana e i Problemata ad perspectivam et iridem pertinentia1. Esse non soltanto riguardano lo stesso ambito di indagine, ma furono accostate già nell'editio princeps napoletana del 1611. In realtà i Problemata ad perspectivam et iridem pertinentia figurano nell'Index lucubrationum del 15682 come appendice agli Aristotelis problemata mechanica e quindi dovevano avere originariamente una collocazione differente, a metà fra le ``mechanicae artes'' e la ``perspectiva'' (cfr. l'introduzione al volume Mechanicae Artes). Tuttavia Silvestro Maurolico, nipote di Francesco, allorché nel 1613 diede alle stampe gli Aristotelis problemata mechanica, non li incluse nell'edizione, dal momento che erano stati pubblicati solo due anni prima insieme ai Diaphana e le altre opere di ottica, con cui in ogni caso presentano evidenti affinità. 2 Ricostruzione cronologica del corpus mauroliciano di otticaL'ottica fu tra gli interessi di Maurolico fin dall'inizio della sua carriera matematica: i Photismi e i Diaphana, risalenti rispettivamente al 1521 e al 1523, sono infatti in assoluto le prime opere dello scienziato di cui si abbia notizia. Questa precoce attenzione all'ottica è testimoniata anche dalla prefazione ai Grammaticorum libelli nella quale Maurolico ricorda i propri studi e le opere da lui composte. Scrive infatti:
Come si può notare, Maurolico accenna qui da un lato al suo studio delle opere della tradizione, rappresentate dall'Optica e dalla Catoptrica di Euclide nonché dalla Perspectiva communis di Pecham, indicata come ``vulgata Perspectiva'', dall'altra all'elaborazione di scritti originali, e in particolare dei Photismi e dei Diaphana. Le stesse opere sono poi menzionate sia nella lettera a Pietro Bembo del 1536, sia nella dedicatoria della Cosmographia latina (lettera al Bembo del 1540), sia nella lettera a Juan de Vega del 1556, dove l'autore ne illustra anche brevemente il contenuto. Ma, nel frattempo, le fonti studiate aumentano: accanto ad Euclide e a Pecham trovano posto in queste lettere il De speculis, allora attribuito a Tolomeo e successivamente ad Erone4, la Perspectiva di Witelo e quella di Bacone, nonché il De speculo comburente, in un primo tempo attribuito da Maurolico ad Archimede e in seguito a Tolomeo. E di quasi tutti questi testi lo scienziato andava elaborando propri rifacimenti. Negli Indices lucubrationum, destinati ad illustrare all'esterno i suoi studi e scritti, Maurolico era solito distinguere tra Aliena e Propria, intendendo col primo termine le opere altrui delle quali egli aveva solo fatto una propria redazione, col secondo, invece, quelle originali. Per quanto riguarda l'ottica, tra gli Aliena compaiono in vari indices l'Optica e la Catoptrica di Euclide, il De speculis dello Pseudo-Erone, la Perspectiva communis di Pecham, la Perspectiva di Bacone e il De speculo comburente. Con il tempo s'accresce anche la produzione di opere originali. Negli anni 1553--54, infatti, Maurolico rimette mano al testo dei Diaphana, rimaneggiandolo ampiamente e aggiungendo un'intera nuova parte dedicata alla fisiologia della visione. Fra il 1556 e il 1558 compone un Sermo de perspectiva, un'opera a carattere generale da collocare all'interno dei Prologi sive sermones, nella quale Maurolico affrontava vari aspetti delle matematiche purae e mixtae5. Nel 1568, infine, come già si è ricordato, compaiono i Problemata ad perspectivam et iridem pertinentia come appendice agli Aristotelis problemata mechanica. Oltre a ricostruire opere di altri autori e a scriverne di proprie, Maurolico si dedicava infine anche alla stesura di compendi del sapere scientifico. Tra questi ce n'era uno intitolato ``Compendium perspectivae totius'', basato sull'Optica e la Catoptrica di Euclide, sulla Perspectiva di Pecham e su quella di Bacone, sugli Specula, sui Photismi e sui Diaphana6. Le opere ``altrui'' elencate negli indices possono essere suddivise in tre gruppi7:
Il De speculo comburente compare tra i rifacimenti citati da Maurolico a partire dalla lettera a Pietro Bembo del 1536, dove però è attribuito ad Archimede e reca il titolo di De speculis ignificis. L'interesse verso gli specchi ustori è comunque una costante dell'opera mauroliciana e riaffiora piú volte all'interno della sua produzione, sia nelle opere di ottica --- teorema XXXV dei Photismi (1521); teorema XXIV dei Diaphana (1523); alla fine del De conspiciliis, parte terza dei Diaphana (1554) --- sia in testi di altro genere (problema XXXV delle Questiones mechanicae per Maurolycum in appendice ai Problemata Aristotelis mechanica, pp. 42--44; Compendium mathematicae, c. 72r). Gli Specula ricorrono negli indices a partire dal 1543 (non figurano però in quello del 1558) e figurano nell'Ordo congruus compendiorum come parte del compendio di ottica8. Tuttavia, queste opere attribuite a Tolomeo (o a Tolomeo-Archimede) non non ci sono pervenute e non disponiamo di altre testimonianze che permettano di stabilire se raggiunsero effettivamente uno stadio di elaborazione compiuto. Lo stesso non si può dire per le opere dei due gruppi rimanenti: abbiamo infatti un elenco dei ``Libri dell'Abbate Don Francesco Marolí da stamparsi'', in possesso degli eredi di Silvestro Maurolico, nipote di Francesco, dove compaiono proprio i testi di Euclide, di Bacone e di Pecham9:
Abbiamo inoltre la testimonianza del codice Villacanense, un manoscritto oggi perduto ma ancora conservato a Messina fino al terremoto del 1908, di cui ci resta una dettagliata descrizione curata da Giacomo Macrí10, dove risulta che da ``pag. 219 a 269'' il codice conteneva un Perspectivae Rogerii Bacchonis breviarium. Infine, in una lettera che il 21 gennaio 1611 Giovanni Giacomo Staserio scrisse a Cristoforo Clavio (personaggi che --- come vedremo nel prossimo paragrafo --- rivestono un'importanza fondamentale nelle vicende della pubblicazione delle opere di ottica di Maurolico), si legge:
Al contrario delle opere di Pecham e di Bacone, quelle di Euclide non compaiono né nell'Index lucubrationum del 1558 né in quelli successivi. Figurano però nell'Index rerum tractandarum del 1567, una sorta di progetto di enciclopedia del sapere scientifico e non suddivisa in tredici libelli, in cui, nella descrizione del Septimus libellus dedicato all'ottica, l'``Euclidis Optica'' e la ``eiusdem Catoptrica'' sono citate insieme alla ``Perspectiva Ioannis Petsan cum adnotationibus'' e alla Perspectiva di Bacone, ``in compendium''12, Inoltre l'Optica e la Catoptrica sono presenti anche nel'Ordo congruus compendiorum del 1570:
Si può dunque concludere che un un Compendium perspectivae totius fosse stato effettivamente composto e che contenesse un'epitome di Euclide, Bacone, Pecham e forse anche Tolomeo. È inoltre assai probabile che proprio ad esso (o meglio alle sezioni di cui era costituito) facesse riferimento l'elenco dei libri ``da stamparsi'' in possesso degli eredi di Silvestro Maurolico e, ancora, che fosse questo il testo di ottica contenuto nel perduto codice Villacanense. 3 L'edizione di NapoliDei due blocchi che costituivano il corpus ottico mauroliciano --- opere originali e redazioni di opere altrui, presumibilmente sotto forma di compendi --- solo il primo ci è in parte pervenuto. Le opere del secondo gruppo sono tutte da considerarsi perdute: compaiono ancora nell'elenco dei libri posseduti dagli eredi di Silvestro, risalente alla metà del XVII secolo, dopodiché di loro non abbiamo piú notizie. Una qualche versione dei compendi di ottica, fra cui sicuramente quello dell'ottica di Bacone, si conservò nel codice Villacanense, andato però perduto dopo il 1908. Le opere originali ci sono invece pervenute, con l'eccezione del Sermo de perspectiva, che compare negli Indices lucubrationum a partire dal 1558 e in tutte le redazioni successive, ma che non è tramandato da nessun testimone attualmente noto. Le circostanze attraverso le quali sono pervenute le lucubrationes ottiche di Maurolico presentano aspetti complessi e avventurosi e risultano, almeno in parte, ricostruibili. Questo paragrafo è dedicato proprio alle vicende che portarono nel 1611 alla pubblicazione napoletana degli scritti ottici mauroliciani. I Photismi e i Diaphana, vennero consegnati da Maurolico a Cristoforo Clavio, il matematico gesuita del Collegio Romano, in occasione del soggiorno di Clavio a Messina nel 1574, come testimonia il nipote di Maurolico, Francesco jr., Barone della Foresta e San Giorgio, che nella Vita scrive:
Maurolico aveva quindi l'intenzione di stampare, con l'intervento e l'aiuto di Clavio, le opere di ottica. Il progetto editoriale, però, ammesso che sia in effetti partito, si arenò subito e di quei testi non abbiamo piú notizie per diversi anni. Non sono chiare le ragioni del disinteresse di Clavio; probabilmente fu dovuto piú a ragioni contingenti (impegni didattici e scientifici sempre piú pressanti) che a una reale mancanza di interesse. Infatti, le opere di Maurolico non furono certo dimenticate; al contrario, è molto probabile che, in ambiente gesuitico, continuassero a circolare e a destare interesse, come è testimoniato dall'epistola di dedica dell'editio princeps:
Degli scritti di ottica di Maurolico si torna comunque a parlare in una lettera del 16 febbraio 1599 scritta a Clavio da Vincenzo Reggio14:
Questa lettera da un lato conferma che Clavio disponeva dei manoscritti dei Photismi e dei Diaphana, come risulta anche dalla Vita del Baron della Foresta, dall'altro attesta che Clavio possedeva anche il manoscritto di un'altra opera: il De iride, da identificare con i Problemata ad perspectivam et iridem pertinentia: si tratta di un esemplare giunto fino a noi e conservato nell'Archivio della Pontificia Università gregoriana di Roma (APUG), Fondo Curia 2052 (siglum C13, cc. 21-24r), intitolato Super optico negocio et iride problemata. La citata lettera del Reggio e un'altra, immediatamente precedente, del Carnava16, testimoniano che fra la fine del 1598 e l'inizio del 1599 stava prendendo corpo in Sicilia e a Roma l'idea di una pubblicazione di opere di Maurolico rimaste inedite17. Tuttavia, ancora una volta il progetto naufragò per ragioni non chiarite. Bisogna attendere il 1606 prima che la questione della stampa delle opere ottiche di Maurolico torni alla ribalta. A partire da quell'anno abbiamo infatti un gruppo di sei lettere di Giovanni Giacomo Staserio a Clavio18 che ci forniscono informazioni essenziali per ricostruire la storia dell'edizione napoletana. Nella prima, datata 24 gennaio 1606, troviamo un accenno alla ``Prospettiva del Mauroli''. Parlando dell'edizione di un'opera di Clavio (il commento alla Sfera di Sacrobosco), Staserio scrive:
Appare qui chiaro l'interesse di Staserio per le opere di ottica di Maurolico. Risulta inoltre evidente che egli le conosceva già, dal momento che ne sottolinea la loro importanza e l'utilità per sopperire alle difficoltà incontrate dagli insegnanti nell'affrontare la disciplina proprio per la mancanza di un libro di testo adeguato. Tutto lascia pensare, perciò, che nell'``Accademia matematica'' del Collegio Romano, di cui Staserio aveva fatto parte, i testi di Maurolico non solo circolassero, ma fossero stati oggetto di discussione, se non addirittura utilizzati come manuali di studio. Non abbiamo la risposta di Clavio all'invito di Staserio, ma evidentemente ancora una volta il progetto di stampa sfumò. Quattro anni dopo, tuttavia, Staserio, che aveva trovato un finanziatore nella persona del nobiluomo genovese Giovan Battista Airolo, riuscì a convincere il maestro. Il seguente passo, tratto dalla lettera del 14 gennaio 1611 di Staserio a Clavio, è molto importante per inquadrare una delle caratteristiche che assumerà l'edizione: gli interventi ``editoriali'' di Clavio e dello stesso Staserio:
Si fa qui riferimento alle aggiunte di Clavio, che compariranno nell'edizione di Napoli stampate in carattere diverso. Appare inoltre evidente che Staserio non solo curò direttamente la stampa, ma intervenne in vario modo direttamente sul testo. Dalla corrispondenza si ricava inoltre che Staserio era in possesso di una copia della produzione ottica mauroliciana corredata di osservazioni di Clavio, che presumibilmente aveva ottenuto dal maestro per scopi didattici o di studio. Si può anzi supporre che l'iniziativa della stampa nascesse proprio dal fatto che, verso la fine del 1610, Clavio avesse richiesto urgentemente a Staserio la restituzione del suo esemplare. Quando Staserio prospettò a Clavio e al suo allievo e braccio destro Christoph Grienberger la possibilità di arrivare alla stampa, Clavio si lasciò convincere, ma a due condizioni: la prima, di riavere comunque indietro e a tempi brevi una copia della ``Prospettiva del Mauroli''; la seconda, che i testi si stampassero cosí com'erano, senza ulteriori interventi da parte sua. Ciò pose Staserio in una situazione difficile. Da un lato, infatti, gli occorreva approntare una copia per lo stampatore; dall'altra doveva soddisfare le pressanti richieste di Clavio. Si rivolse a un copista, in modo da ottenere una copia per la tipografia, ma il risultato fu pessimo. Dalle sue lettere appare impegnato in un'attività frenetica di copiatura, revisione, preparazione delle figure per la stampa e miglioramento e commento del testo mauroliciano stesso. Alla fine, per soddisfare le richieste del maestro decise di rinviargli non il suo esemplare, ma quello approntato dal copista: nella penultima lettera, del 21 gennaio 1611, scrive infatti:
Con questa lettera tutti i preparativi per la stampa sono completi, come risulta evidente dalla lettera del 18 febbraio --- successiva, dunque, di poco meno di un mese --- in cui Staserio annunzia: annunciante:
Come dunque possiamo intuire dal tono delle lettere di Staserio, la pubblicazione dell'opera, uscita a Napoli in quello stesso anno, fu piuttosto travagliata e fu completata, per ragioni a noi ignote, anche con una certa fretta. L'edizione presenta infatti alcune caratteristiche peculiari, dovute proprio alla sua avventura editoriale. Anzitutto alcune porzioni di testo sono stampate in corsivo: come si è detto, dovrebbero identificarsi con le note aggiunte da Clavio per illustrare meglio il contenuto e per chiarire o ampliare qualche passaggio. Non sappiamo però con certezza quali e quanti di questi passaggi in corsivo siano dovuti a Clavio e quali e quanti a Staserio. Infatti, dopo gli errata corrige, compaiono alcune integrazioni al testo piuttosto lunghe, stampate anch'esse in corsivo. Si tratta dei passi mandati da Staserio a Clavio con la lettera del 14 gennaio 1611 e con quella successiva del 18 febbraio e, come appare chiaro dalle stesse lettere, furono composti da Staserio e non da Clavio. Nella lettera del 14 gennaio, infatti, troviamo scritto:
In quella del 18 febbraio Staserio è, per nostra fortuna, ancora piú chiaro:
Per di piú a questa lettera si accompagna un foglietto contenente proprio le integrazioni che oggi ritroviamo dopo gli errata corrige. Evidentemente, essendo già in stampa i primi fogli dell'edizione, le aggiunte non poterono essere incorporate nel testo e perciò furono inserite tra gli Errata. Esistono poi alcune copie dell'edizione che presentano nel testo passi in corsivo (e quindi da attribuire ai due gesuiti) che altre non hanno: un'ulteriore testimonianza di una stampa affrettata e una conferma della difficoltà di sceverare l'intervento originario di Clavio da quello di Staserio. 4 I testimoni dell'ottica e i loro rapportiLe opere mauroliciane di ottica pervenute sino a noi sono dunque le seguenti:
Esse sono tramandate da vari testimoni: due editi a stampa e quattro manoscritti, dei quali uno autografo --- contenente i soli Diaphana --- e gli altri apografi, e precisamente: 4.1 I testimoni4.1.1 Manoscritti
4.1.2 Edizioni a stampa
Entrambe le edizioni contengono tutte e quattro le opere25, ma la seconda presenta qualche differenza rispetto alla prima: non solo il frontespizio riporta Theoremata invece di Photismi, ma in margine al testo si trovano riferimenti a teoremi contenuti in altre opere di ottica (soprattutto in quelle di Witelo e Alhazen) o comunque ai teoremi dei quali Maurolico fa uso nel corso della dimostrazione. 4.2 I rapporti tra i testimoniÈ facile dimostrare che S11 è basato su S10. Nella tabella degli Errata di S10 compaiono infatti sia un'aggiunta da inserire dopo il teorema 4 sia uno scolio al teorema 5 che in S11 sono stati incorporati nel testo. Poiché dall'epistolario di Clavio risulta con certezza che l'autore dei due passi fu Staserio26, la cirostanza prova da sola che il testo su cui si basò l'editore lionese fu quello pubblicato a Napoli due anni prima, o tutt'al piú una sua copia manoscritta. Analogamente è facile accorgersi che C6 è stato esemplato su S11, di cui riprende vari errori e peculiarità, tra cui il titolo, in cui compare Theoremata al posto di Photismi, e la parte iniziale dei Diaphana, dove sia in C6 sia in S11, troviamo cinque ``supposizioni'' e non quattro come nei manoscritti A5 e C7 e in S10. Restano quindi da indagare i rapporti fra C7, S10 e l'autografo A5, che d'ora in avanti chiameremo rispettivamente C, S e A. Indicheremo invece con C1 gli interventi del copista di C tornato sul testo per effettuare correzioni e aggiunte, e con C2 quelli di una seconda mano che effettuò numerose correzioni. Analogamente indicheremo con A1 le correzioni apportate da Maurolico al suo testo, con S1 le correzioni riportate nella tabella degli Errata e con S2 le varianti presenti nelle pagine sostituite che si trovano solo in alcune copie di S. Bisogna osservare anzitutto che la prima mano di C ha copiato l'antigrafo in suo possesso in modo del tutto pedissequo, senza preoccuparsi del senso né tantomeno dello svolgersi del ragionamento matematico. Frequentissimi sono gli errori di lettura dell'antigrafo e gli errati scioglimenti di abbreviazioni e perciò C2 apportò numerose correzioni, facilmente riconoscibili anche dal colore dell'inchiostro. Che peraltro la mano di C2 debba essere identificata con quella dello stesso Staserio risulta evidente dal confronto con le sue lettere. Gli interventi di Clavio sul testo di Maurolico, che in S sono indicati con l'uso del carattere corsivo, in C sono segnalati racchiudendo il passo fra parentesi quadre. Già da un primo confronto fra C e S risulta subito evidente che si tratta di copie indipendenti di un antigrafo comune. Da un lato, infatti, S non può essere stato copiato da C per la presenza in C di numerossime omissioni rispetto al testo tradito da S, tra cui segnaliamo le seguenti a titolo esemplificativo: Diaphana I 4, 1 oculus ~ ponatur om. C; 12, 3 no ~ 4 arcus om. C; 22, 3 de om. C; II 30, 1 alia per reflexionem om. C; ad lectorem 2 Hora ~ 1553 om. C. Dall'altro lato la presenza di un buon numero di errori separativi di S permette di escludere anche che C sia copia di S. Soprattutto nel testo dei Diaphana, anzi, A e C concordano spesso contro S, come dimostrano i seguenti esempi: Diaphana I 12, 2 cuius A, spatio relicto om. C, om. S; 13, 2 aliquem A, aliquam C, alterum S; 14, 4 distantiae AC, distantis S; 18, 7 sphaeram AC, sphaerae S; 21, 3 ck AC, GK S; 24, 1 fit AC, sit S27; II, add. post 25, 1 repetitam repercussionem AC, repetita repercussione S; 29, 2 solis AC, solaris S; add. post 29, 1 raritate AC, varietate S; 2 demonstrationis causa AC, demostrationes causam S; ibid. possum AC, possumus S; 6 additam AC, additionem S; add. post 30, 2 radius AC, angulus S, in marg. C2; 3 figurae AC, figura S; 12 5/8 C, corr. ex 11/18 A, 1/2 S; 14 simulationem AC, similitudinem S; add. alia post 30, 5 possit AC, potuit S; add. alia per quam confutatur 30, inscr. 30a AC, 20 S; III de consp. 3 quaeve e AC, quae a S; 20 baiulat AC, baiulatur S; 24 praediti AC, praedicti S; 31 sua AC, suae S; 33 congregato AC, congregatio S; 34 ab umbratione AC, obumbratione S. Da un confronto con il testo dei Diaphana tradito da A si ricava, infine, che S e C, pur tramandando un testo sostanzialmente simile a quello di A e privo di modifiche o di miglioramenti che possano risalire allo stesso Maurolico, condividono tuttavia moltissimi errori congiuntivi (puntualmente registrati nell'apparato dell'edizione), che ne dimostrano la discendenza da un antigrafo comune diverso da A, ma da questo, a sua volta, dipendente (d'ora in avanti designato g). In alcuni casi, anzi, risulta evidente che la lezione erronea concordemente offerta da S e da C dipende da un'abbreviazione poco chiara del modello28, o da un'abbreviazione di A malamente sciolta in g29. Stando cosí le cose, almeno limitatamente al testo dei Diaphana potremo dunque rappresentare i rapporti tra i testimoni a nostra disposizione nel seguente stemma:
| g / \ C S L'analisi dei Photismi e del De erroribus speculorum permette poi di stabilire che un analogo stemma vale anche per questi due testi, a condizione di sostituire ad A il perduto a. Diversa appare invece la tradizione dei Problemata ad perspectivam, su cui ci soffermeremo più avanti. 4.3 Le copie di Staserio e il codice di LuccaCome si è detto, C presenta numerosissime correzioni dovute alla mano di Staserio. Sua peculiare caratteristica è, inoltre, che le figure geometriche sono quasi tutte disegnate a penna, salvo poche, che sono stampate su fogli incollati al manoscritto e che risultano identiche a quelle dell'edizione napoletana, pur non essendo ritagliate da essa, dal momento che il verso dei foglietti risulta bianco. Nella sua corrispondenza con Clavio, d'altra parte, Staserio lamentava l'incuria del copista a cui aveva affidato la trascrizione dell'esemplare da restituire al suo maestro30, mentre, nella lettera del 21 gennaio 161131, comunicava al maestro di avergli inviato le bozze delle figure che sarebbero servite per la stampa32. Questi elementi --- la mano di Staserio presente in C, la descrizione staseriana della copia inviata a Clavio, la presenza di figure a stampa --- permettono di identificare senza alcun dubbio il codice di Lucca con la copia che Staserio inviò a Clavio il 21 gennaio 1611. 4.4 La traditio dei Problemata ad perspectivamMolto diversa risulta invece la tradizione dei Problemata ad perspectivam, assenti nel codice di Lucca C7 e per i quali non disponiamo di testimoni autografi: i Problemata sono traditi infatti solo da S e da C13 (la copia di mano di Clavio), la cui collazione --- pur non rivelando errori separativi di rilievo --- permette però di riscontrare una serie di varianti linguistiche e formali che fanno pensare a dipendenza da originali mauroliciani diversi. Tra queste varianti una delle più interessanti ricorre già nel titolo, che in S suona Problemata ad perspectivam et iridem pertinentia mentre in C13 F. M. Super optico negocio et iride Problemata. L'assenza dell'opera in C7 e, parallelamente, la mancanza di note e aggiunte claviane al testo dei Problemata nell'edizione napoletana sembrerebbero indicare che essi non si trovassero in g. Lo conferma anche il fatto che in S il testo dei Problemata sia stampato in corpo minore, occupando le ultime quattro pagine dell'edizione, quasi che Staserio fosse entrato in possesso di questo scritto all'ultimo momento, quando ormai la stampa era praticamente completata. Ancora nel gennaio del 1611, infatti, Staserio continuava a fare pressioni su Clavio per ottenere dagli eredi di Maurolico materiale relativo all'ottica da inserire nell'edizione33. E lo stesso Silvestro Maurolico nella Vita dello zio testimonia di queste insistenze34:
L'insieme di questi elementi tende a farci ritenere che Staserio abbia ottenuto tardivamente (e forse direttamente da Messina) una copia dei Problemata e che l'abbia inserita all'ultimo minuto nella sua edizione. Piú incerta l'origine della copia di Clavio, che potrebbe averla trascritta durante il soggiorno messinese del 1574, quando Maurolico gli consegnò i suoi scritti di ottica, o anche poco dopo il suo ritorno a Roma, ma che non avrebbe voluto o potuto metterla a disposizione dello Staserio in occasione dell'edizione napoletana. Un ulteriore elemento che depone a favore di una dipendenza dei due testimoni da originali diversi è il fatto che Silvestro Maurolico avesse fatto fare copia di tutti gli scritti dello zio: è possibile che piccoli aggiustamenti lessicali e sintattici si verificassero proprio durante il processo di copiatura. 5 Criteri di edizionePer una discussione più dettagliata dei criteri adottati, rinviamo alle introduzioni alle singole opere. Qui basti accennare che per i Diaphana, di cui disponiamo dell'autografo, il testo critico si fonda essenzialmente su A; per i Photismi e il De erroribus speculorum abbiamo in genere seguito la lezione di S, correggendo congetturalmente o sulla base di una migliore lezione recata da C7. Abbiamo inoltre espunto dal corpo del testo le aggiunte claviane, relegandole in apparato, nel tentativo di offrire la possibilità di una lettura dell'ottica mauroliciana così come l'aveva pensata il suo autore. 1 Dettagliate notizie sulle singole opere vengono fonite piú avanti nelle relative introduzioni. Come vedremo nel prossimo paragrafo, dedicato alla ricostruzione del corpus ottico mauroliciano, Maurolico aveva composto anche altre opere in questo campo, ma sono oggi da considerarsi perdute. 2 Il testo autografo è conservato nel manoscritto Par. Lat. 7466 ed è stato pubblicato in [Clagett 1974]. 3 Cfr. Grammaticorum libelli, cc. 7r-v. 4 Recentemente Alexander Jones (2001) ha messo in dubbio anche questa attribuzione, preferendo indicare l'autore come Pseudo-Erone. 5 Di questi Prologi, che nelle varie redazioni dell'Index lucubrationum (a partire da quella pubblicata con il volume di Sphaerica del 1558) assommano a 16, ce ne restano oggi solo 3, datati 1556. 6 Per un elenco dei compendi si vedano l'Ordo congruus compendiorum, tramandato dal manoscritto autografo Par. Lat. 7466, e l'Index rerum tractandarum, tradito nel Par. Lat. 7471. 7 Tralasciamo in questa sede la Perspectiva di Witelo che, tra le opere studiate, viene citata una sola volta --- nella lettera a Juan de Vega --- e con parole non proprio elogiative. 8 Per contro, nell'Ordo congruus compendiorum il De speculo comburente viene citato solo nella descrizione del compendio di coniche con le parole ``conicorum Apollonii in 3 lib. cum directis et magis necessariis conclusionibus, maxime spectantibus ad demonstrationem speculi comburentis''. 9 Cfr. [Moscheo1988b], pp. 417--18. 10 Cfr. [Macrí1901], Appendice, pp. XXIII--XXVI. 11 [Clavius1992], lettera n. 323 12 Cfr. [Moscheo1988b], p. 540. 13 Cfr. [Maurolico1611]. 14 Vincenzo Reggio (Palermo 1545--1614), fu una delle figure piú note e influenti in Sicilia tra i Gesuiti. Dal 1588 fu rettore del Collegio di Messina e fu confermato per l'ultima volta in questo incarico nel 1598; probabilmente ricopriva ancora questa carica all'epoca di questa lettera. 15 Cfr. [Clavius 1992], lettera n. 151. 16 Gesuita del Collegio di Messina; cfr. [Clavius1992], lettera n. 150. 17 Oltre all'ottica, essa avrebbe dovuto comprendere anche la stampa dell'Apollonio mauroliciano, insieme con il perduto compendio di Apollonio in tre libri: cfr. l'introduzione al volume Conica. 18 Giovanni Giacomo Staserio (Bari 1565--Napoli 1635). Matematico gesuita, professore nel Collegio napoletano dal 1600 al 1620 con una interruzione di un paio d'anni. Su Staserio e la sua attività di matematico si veda Romano Gatto, Tra scienza e immaginazione (Gatto 1994). Non ci sono purtroppo giunte le risposte di Clavio a Staserio. 19 Cfr. [Clavius1992], lettera 257. 20 Cfr. [Clavius1992], lettera 322. 21 Cfr. [Clavius1992], lettera 323. Non è chiaro perché Clavio desiderasse riavere indietro al più presto una copia dell'ottica mauroliciana. Secondo la testimonianza del Baron della Foresta, Clavio possedeva ``l'Originale de Fotismi, e dell'opera delli Diafani'', mentre appare evidente che Staserio non disponeva degli autografi, ma di una copia corredata dalle annotazioni claviane. Si può ipotizzare che Clavio non avesse tenuto copia di queste ultime; o anche che (siamo nei mesi in cui esplode l'interesse per le scoperte astronomiche galileiane e di conseguenza per i fenomeni ottici) egli volesse trasmettere a qualcuno i risultati del suo studio su Maurolico: il brano citato infatti accenna al fatto che l'esemplare avrebbe dovuto essere copiato ancora una volta prima di venir ``mandato'' . Le testimonianze in nostro possesso non permettono però di chiarire completamente questo punto. 22 Cfr. [Clavius1992], lettera 326. 23 Cfr. [Clavius1992], lettera 322. 24 Cfr. [Clavius1992], lettera 326. 25 Il De erroribus speculorum non compare nel frontespizio, ma si trova di seguito ai Photismi: a pagina 30 nell'edizione di Napoli, a pagina 35 in quella di Lione. 26 Si veda la lettera di Staserio a Clavio del 18 febbraio 1611 riportata nel paragrafo precedente. 27 Lo stesso errore ricorre anche altrove parecchie volte. 28 In Diaphana I 18, 2, ad esempio, mentre A scrive correttamente e per esteso constructionis, C offre Constnis e S Costituionis. 29 Ad esempio, nello scholium con cui nel secondo libro dei Diaphana si chiude l'Additio alia post 30am (§ 19), A scrive correttamente itid\=e, ma con l'iniziale maiuscola e legata in basso alla successiva -t- da un ampio tratto che finisce per dare alle prime due lettere della parola l'apparenza di una V; non sarà dunque un caso che S legga videlicet e che C offra vl. 30 Cfr. [Clavius1992], lettera n. 320: ``la lettera del copista è bella in apparenza, ma poi in fatti è confusa e piena di errori, si che bisogna rivederla molto bene''. Lettera n. 323: ``Sono stato ingannato dal scrittore, il quale con bella mostra, m'ha fatto poi mal opra. Io perché nel rivederla, la trovai molto scorretta, la lasciai di finire di rivederla col'occasione de la stampa, et cosí neanco vi feci le figure.'' 31 Cfr. [Clavius1992], lettera n. 323. 32 Cfr. loc. cit.: ``la settimana seguente spero rimandargliele [le figure] tutte, o stampate, come ne li mando adesso da 20, o a penna''. 33 Cfr. supra, § 2. 34 Cfr. op. cit., p. 34.
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