F r a n c i s c i M a u r o l i c i O p e r a M a t h e m a t i c a |
Introduzione | Help | Pianta | Sommario |
Vita dell' Abbate del Parto D. Francesco Maurolico |
Vita dell'abbate MaurolycoNacque il rilucente lume delle Mathematiche scienze, ed emulo del grande Archimede FRANCESCO nella Nobilissima Città di Messina, Capo del Regno di Sicilia, l'Anno del Signore 1494. dell'Inclita, et Anticha famiglia Marula. Della quale, opressa di già quella famosa, et Imperial Città di Costantinopoli dal dominio Barbaro, e Mahomettano; trasferitisi non pochi à Messina, quiui si fermarono; propagandosi d'ogni lato con nobili, e generosi rampolli, de' quali uno fù il Padre del nostro Francesco, c'hebbe nome Antonio. Quale d'età matura, e nubile, à Penuccia (donna assai saggia, e nobile) in nodo coniugale accoppiatosi, con celeste benedittione, e fecondissimo consortio diedero insieme al mondo otto figli, sette maschi, cioè Girolamo, Gio:Saluo, Siluestro, Matteo, Francesco, Gio:Pietro, e Giacomo, et una femina detta Laurea: Onde il quinto genito fù Francesco, quale, tutto che nel materno ventre racchiuso, diede per diuina ordinatione non oscuro inditio de' suoi futuri talenti. Percioche à la madre di lui grauida paruele in sogno di partorir una vivace, e risplendente fiamma, che auanzandosi à gran furia con baldanza ineffabile, sembraua appunto di attingerne il Cielo, e signoreggiar le stelle. Fù il sudetto Antonio huomo assai versato nell'arti Liberali, et in particolare nelle scienze Astronomiche da Costantino Lascari, che fioriua in quella stagione, come etiando nelle Lettere Greche sufficientemente instrutto; e dalla Città ad honoreuoli carichi, e fra questi à quel della Zecca, della quale funne molti anni Capo, e Mastro, meritamente promosso. Onde non è marauiglia, se da sì dotto, e virtuoso genitore una cotal prole deriuata ne fosse. Nato dunque felicemente, e con sì lieto augurio l'auuenturoso fanciullo, fù sotto la paterna cura ingenuamente alleuato, ed incaminato nel biuio cotanto straboccheuole, e periglioso per l'aspro calle della virtù, e delle belle lettere. Hebbe dallo stesso suo padre saldi, et ottimi principii, e d'Astrologia, e di lingua Greca, e fù da Francesco Faraone, all'hora Maestro di qualche nome, et Autore della Grammatica, che và attorno, ne' precetti Grammaticali, e ne' Rhetorici da Giacomo Notese istrutto, mostrando sempre mai in ogni facoltà, che le sì spiegaua, felicissima indole, et acume d'un eccellente ingegno, e celere capacità. Fù sino da teneri anni inchinatissimo alla Christiana pietà, ed Ecclesiastiche funtioni: che per ciò presene l'habito clericale, e fece in ambidoi gradi progresso tale, che in età assai verde produsse frutti maturi. Percioche mandò alle stampe une Grammatica da se composta, e per conto della Religione, messe insieme un'Officio delle Madona, ed un'altro del Signore di molti Hinni, ed artificiosi metri adornato; dedicandolo à D. Antonio la Ligname Archiuescuo di Messina, dal quale nel 1521. presi havea gli ordini sagri. Ma serpendo tuttauia la pestilente contagge, diffusase per la Città in maniera, che senza euidentissimo rischio di morte, ed infettione, non poteasi in lei oltra dimorare: d'indi co' fratelli, e famiglia uscinne, ad habbitar fuori nella paterna villa, non più che due miglia della Città discosta presso il rio dell' Annonciata, in quella contrada c'hà nome Santo Alessio. Quiui, ancorche nella foresta in disparte, e lungi dal pestilente commercio, la maggior parte ne fù estinta. Peroche cessatane la peste, di trentatre che n'andarono, tredici solamente salui, e viui ne rotornarono à casa: cioè il Padre, duo fratelli, lor sorella, con altri pochi serui, e serue. Venuto appena dentro la Città Francesco, udendo publicarsi il Giubileo dell'Anno 1525. spinto da un vehemente desiderio di guadagnarlo, senza fraporui indugio veruno (tanto era il feruore della Christiana pietà, che auampaua in quel generoso petto) si pose in viaggio per Roma. D'onde di già guadagnatelo, con il condecente apparecchio, e visitate comme somma diuotione le sette Chiese, ritornò di nouo à i consueti studi; da quali, qua[n]do era appunto nel maggior corso, e bollore, ne fù per la morte del padre, che d'età d'anni settantanoue rese lo spirito al Creatore, affatto distornato, e distolto: affine di attendere à gli affari domestici. Ma ben tosto l'industrioso giouine, se ne sbrigò, conciosiache accostatosi al suo minor fratello, nomato Giacomo, da lui stranamente amato, gli impose tutto il gouerno della casa, e de poderi, ed egli sciolto d'ogni attaco domestico, applicò il pensiero alle speculationi Mathematiche (ch'erano il suo nudrimento, e diporto)[.] Ma tuffandosi à tutto potere in quelle, alletato perauentura dalla dolcezza, e beltà de gl'oggetti celesti, e rapito dall'arcani della natura, senza usarui quella moderatione, ne hauer quel riguardo alla sanità, che vi bisognaua, e la vehemenza, e sublimità del soggetto, il richiedeua, ne contrasse suanimento di capo, e vertigine tale, che fù di mestiero per ordine di Medici astenersene affatto per più d'un'anno. E se bene mostrò egli d'esser per all'hora guarito, ne rimase però sempremai contaminato in guisa, che ad ogni vehemente, ed intenso studio se la vedea adosso spietata carnefice à tormentarlo con acerbissimi dolori. Guariti, come dicemmo, mercè di quell'annua quiete, ed intermissionne; s'applicò di subito con istudio altretanto intenso quanto era stato prima l'otio; e cominciò con una auidità, e fame, malageuole ad esprimere, à porsi innanzi tutti gli Autori od impressi, ò manuscritti, che delle facoltà Mathematiche lodeuolmente scrissero. Questi correggendo, quelli chiosando, altri illustrando, altri raffinando, molti trascriuando di man propria, supplendo à lor diffetti, sciogliendo le difficoltà, spiegandoli con maggior chiarezza, secondo conosceua esser bisogno, come e dalla Biblioteca, e dall'Indice de' suoi studi, itone fuori, puossi apertamente comprendere: in cui quasi in un lucido specchio mirasi, che non lasciò egli à dietro authore in cotal professione, e parte alcuna della medesima scienza intatta, e che non l'hauesse con miglior chiarezza, e methodo pienamente trattata. Anzi che desiderandosi l'opere d'Archimede, non per all'hora comparse al monde, speculandoui sopra i lor subietti (cosa veramente ammirabile) da per se le compose in maniera che diuulgaronsi sotto il nome d'Archimede, e quando poschia vennero in luce le d'Archimede già impresse in Germania, e riscontrandosi l'une con l'altre insieme, furono à senno dell'intendenti quelle del Maruli per migliori giudicate, come con maggior chiarezza, e per più dritto, ed agueuol sentiero procendenti. Non minor fatiga durò egli nell' emenda de quattro libri Conici d'Apollonio, aggiongendoui il quinto, ed il sesto, et formatone in oltre un breue trattato de' sopranominati distinto in tre libri con dimostrationi rette, e breui, nelle quali racchiudesi quasi tutta la scienza Conica. Compose etiandio due libri de Cylindrici di Sereno, tutto che come in una pistola al Comandino ei testifica, non solamente non l'hauesse hauuto in mano, ma ne anche opera alcuna pertinente à Cylindri veduto giamai. Ristorò parimente tutto il corpo della Mathematica cominciando da Euclide, Menelao, Theodosio, Autholico, Giordano, Ruggiero, Baccone, Giouanni, Petsan, Boetio, ed altri che lodeuolmente ne scrissero; emendando i luoghi corrotti, e deprauati, supplendo à i tralasciati, rischiarando l'oscurità, componendo, e speculando quelle parti, che, nè furono trattati giamai, nè pur dall'autori, od antichi, ò moderni ritocchi; riprendendone con somma modestia lor errori. In tanto, che coloro, che tengono l'opere del Maurolico, si possono meriteuolmente gloriare, d'hauere la perfetta contezza, ed intero raguaglio di quelle facoltà, senza veruno neo, e difetto, e possederne il vero simolacro, ed imagine al natural espressa, ed incarnata. Attendendo dunque con esatta diligenza à sì lodeuol'essercitio, à richiesta di Don Giouanni Marullo Conte di Condeianni, e Stradigò in quella stagione di Messina (supremo carico dopò quel del Vicereè in Regno) ed astretto ancora dal Senato, lesse nel publico la Sfera, ed i principii d'Euclide; e quiui fù egli Inuentore d'una machina giaculatoria, quale teneua un timpano distinto in dua mansioni ò (che dir vogliamo) vacui con alcune fistule, che d'una in altra mansione trasferendone l'humore, senza od aiuto esterno, od humanoministerio da sua posta per ispatio di meza hora contra ogn'ordine di natura il ributtaua in aria. E nell'istesso tempo aspettandosi di fresco in Messina la Maestà Cesarea di Carlo Quinto, di già trionfante, e carico di Moresche spoglie, e Barbari Trofei, guadagnati nella presa di Tunisi, e destruttione d'Africa, adoperossi all'inuentione dell'apparato, e dell'archi Trionfali, che gli si preparauano con sommo splendore, e fasto da quella nobil Città, e venuto poi, e riceuutù con i sommi honori; itone il Marulì à fargli riuerenza, ne fù con istraordinarii segni d'amoreuolenza, e cortesia accolto, mostrando nell'esteriore con piaceuolissimo sembiante d'esserle stata sommamente cara quella visita, e conoscenza di cotal soggetto. Nè tardò molto che D. Girolamo Barresi Marchese di Pietra Pretia affettionatissimo, quanto altro mai, alle scienze Matematiche, giunto in Messina, fermossi per ispacio di due anni continoui con esso lui, non con minor diletto, che profitto, udendolo, ed apprendendo da quell'Oracolo ammirabile (al quale stauane egli attaccato via più, che non lattente bambino à notritiua mammella, od ape à fiore di ruggiadoso humore cosperso) il midollo, e la verità delle cose: à cui dedicò Francesco per segno d'amore, e riuerenza il volume di cinque corpi Regolari: Fortificandosi in tanto Messina d'ordine di Cesare, funne parimente destinato alla misure di tutr[t!]e le piante, e Fortezze, ed à piantarne i forti, i torrioni, ed i beluardi, con les cortine riuolte al Merige, di concerto però co'l Ferramolino Ingegniero Regio; e situolle in maniera, che auuicinandosi il nemico (per la corrispondenza, e rincontro à trauerso c'hanno i sudetti beluardi, ed angolo che le cortine vi formano) ne viene talmente inchiuso, e d'entrambi i lati colpitoche malageuol pare ad iscamparne libero, e saluo, che non per altro sortinne somigliante sito il nome di Boccad'oro. Accadè in quel mentre, che Giacomo suo fratello, già mastro di zecca s'infermasse à morte, onde gli conuenne troncare con eccessiuo ramarico il pregiato filo de suoi dolci studi, ed attendere oltre le noiose cure di casa, in vece di lui all'ufficio, per sin tanto, che da lunga, e pericolosa infermità rihauutosi, à sua instanza il rinunciò à la Regia Corte, ed egli con più fresca lena, e maggior ardore, ripreso lo tralasciato filo si pose à comporre, ad imagine di Dialogo distinta in trè libri la Cosmografia, che dedicò poi à Pietro Bembo Cardinal di Santa Chiesa, Lettreggiossi parimente col Cardinale di S. Croce in somma domestichezza; colui che creato poco appresso Sommo Pontefice, nomossi Marcello, e visse nel Pontificato, non più che 22. giorni (così ratti sen volano, e suaniscono l'Imperi, e le Monarchie del Mondo, e le speranze de gli attinenti) priuando la Chiesa d'un'ottimo Pastore, ed il Marulì d'un'amoreuol Padrone, e Prottetore. Non è da passar con silentio, come giuntone Stradigò à Messina Don Giouanni Vintimiglia Marchese di Girace, per la molta affettione, che portaua alle scienze Mathematiche, ritirossi à se il Marulì, e mentre perseuerò poi nell'uffitio biennale, si trattenne seco quasi sempre in conuersatione letteraria, hauendo trascorsa buona parte d'Euclide, delle tauole d'Alfonso, e d'altre opere toccanti alla Mathematica. A cui dediconne Francesco l'opera della Fabrica, ed uso dell'Istrumento detto Horario da lui composto, ed un'altra operetta nella volgar fauella della vita del Signor, dell'Apostoli, ed altri Santi. In questo tempo stesso, pregato da Giouanni Lomellino del Campo, compose il Trattato de'Pesci Siciliani, per inuiarsi à Roma ad un certo Gillo, quale affaticauasi tuttauia di dar in luce un intero, e compito ragguaglio di tutti i Pesci, e Pescagioni del Mondo: come altresi à Giacomo Castaldo Piamontese Cosmografo, il disegno di tutta l'Isola di Sicilia, che stampossi poscia in Roma più d'una volta. Ritornatone doppò il Marchese di Girace dal pellegrinaggio di Palestina, doue era ito in visita di quei santi luoghi, impressi dall'orme, e tinti del sangue del nostro Redentore, menossello à viua forza per habitar seco in Castel Buono, capo di quel gran Marchesato, attendendo di concerto con immenso studio, ed ugual diletto alla speculatione delle scienze Mathematiche, tramezzate però con qualche breue sogiorno, per diporto, ed honesta ricreatione, in Palermo, tra le delitie di quella solazzeuole, e felice Città, e tra le visite, ed accoglienze di quella amoreuole nobiltà per fino all'anno 1548. nel quale il sudetto Signore à persusione (com'è da credersi) del Marulì, fatta la rinnuntia delli stati inpersona di D. Simeone suo primogenito, e preso l'habito Chericale, venne à Messina stanzando une Quarezima intiera con esso lui nella casa Marolica, e celebrate di già felicemente le feste Pascali, inbarcatisi su le galee Siciliane passarono à Napoli, e furono in arriuando banchettati, e corteggiati da tutti i letterati di quella sontuosa Città, e d'indi partiti giunsero à Roma, visitati parimente dà assaissimi Prelati, ed amatori dell'arti liberali. Doue, frà gli altri Alessandro Cardinale Farnese per Don Bartolomeo Spatafora fece intendere al Marulì, che sel recarebbe à gran fauore, se volesse od in suo palazzo, od in quello d'Ottauio suo fratello fermarsene, e mandolli d'auuantagio per arra dell'affetione che gli portaua una poliza bancale di scudi 500. d'oro: harebbelo al sicuro compiaciuto il Marulì, soprafatto da cotanta amoreuolezza di quell'Illustrissimo; se non era di lasciar la persona del suo Marchese, che l'hauea colà menato, e facea di lui si gran capitale, che sarebbe vn cauargli l'anima distorglilo dal fianco. Tanto più ch'a sua persuasione, rinuntiò, egli lo stato, per potere sbrigato da gli alti affari del gouerno attendere con maggior diligenza, e quiete alla contemplatione de giramenti celesti per lo che presentito il Marchese i radoppiatti messi le ricche proferte, e li forzeuoli inuiti, che à guisa di Sirene procurauano ritardare, e ritorgli il suo caro maestro, d'incotanente dipartissi per Napoli, e d'indi passò à Messina, e dopò breue indugiò ritornarono insieme all'antica lor magione in Castelbuono; e quinci à Pollina (terra dello stato) doue quel Signore nel paterno ed auito castello, in alto poggio ed iscoscesa rupe non lungi il lido con marauigliosa prospettiua situato, feceui à cotal fine edificar stanze molto commode, erte, e patenti al Cielo, e da tutti i lati sgombre, e libere, per poterne più ageuolmente ad alta notte in un bel sereno osseruare il corso de' Pianeti, e delle Stelle, e correggerne in oltre nelle tauole di Alfonso lor progressi ed aspetti. Là doue riferinne poscia il Marulì d'hauere nell'istesso dì scorta la Luna di già vecchia, in sù l'Aurora auuicinarsene alla fatta (ch'esser douea perauuentura nel Merigge) e tramontatone il Sole, apparir d'un viuace argento, e giovanile sembiante molto riguardeuole (che di rado auuenir suole)[.] Hormentre stassi egli godendo sì fatta quiete, vagheggiandone con occhio d'Argo, ed intendimento d'Angiolo il moto velocissimo ed ordinatissimo delle Sfere Celesti; eccone per un'istraordinario messo le lettere del Vega, pregandolo non gli fosse graue d'incaminarsi quanto prima da lui à Palermo, e scrissene ancore per non impedirglio, all'istesso D. Giouanni. Partissi di subito per ubbidire à quella suprema Eccellenza, quindi poi trasferandosi à Termine, doue era con sommo desiderio aspettato da Hernando filio primogenito di lei, per udir le lettioni Geometriche ed Astronomiche, come in fatto l'udì, e ne rimase non meno istrutto che ammirato. Nel qual tempo non marcì punto in otio il sauio Censore de gli stellanti aspetti, anzi compose li due libri Sferici, e pose in ordine li trè de Menelao cauati da un'antico essemplare manuscritto, assai però corrotto e deprauato, come anco quei di Teodosio, arricchendoli entrambi di molte demostrationi necessarie à lor pieno ed esatto conoscimento. E nel 1550. partito insieme col Padre il sudetto Hernando su l'armata Nauale all'Impresa d'Africa (che sortì felicissimo euento, per la presa, e distruttione di quella) rimastone egli in Termine, ridussesi di nuouo à Castelbuono, doue era cotanto bramato da quelli illustrissimi, e quiui vacando l'Abbadia del Parto per la morte di D. Girolamo Ventimiglia (Ius Patronato de sudetti Signori) gli fù tostamente conferita. Onde richiamatone dà Messina il suo minor fratello Giacomo, gli fece un'ampla, e larga Donatione di tutti i suoi beni, pago solamente e cotento delle rendite di lei; e perciò presene l'habito di S. Benedetto, e si rinchiuse dentro il Monastero ad habitar in commune con quei deuoti monaci sotto regolar osseruanza, ristorouui le mura di già distrutte et smantellate, vi fabricò sagrestia, camere, corritorii, volte, ed officine domestiche, l'ornò di parati, Croci, crozze, e Calici e d'altro ecclesiastico arnese al diuin culto er seruiggio necessariissimo; e tutto ciò à proprie spese, non hauendo per fino à quell'hora maneggiato, quanto fosse un'quadrino, dell'entrate e prouenti di lei. Disponendo la Diuina Prouidenza, che la di lui promotione à quella Prelatura occorresse appunto il dì medesmo, che lo produsse al mondo, cioè il sestodecimo di Settembre. Siede l'Abbatia del Parto in un bel piano presso le falde del monte Madonia, (nominato da Plinio monte Marone) circondata d'ognintorno, e quasi che ghirlandata d'un folto bosco d'alte e noderose castagne, bagnato dà più correnti ruscelli di gelidissime acque, hà l'aria molto salubre, la prospettiua assai amena, quinci l'Aquilone, indi rimira il Leuante, di sotto, non più che d'un miglio distanto, giacene Castelbuono con altri borghi di quel Principato, ed iscopre anche il mare con alcune dell'Isole Eolie, che non per altro nomarla egli ben ispesso soleua il suo terrestre Paradiso. Quiui dimoraua il buon Pastore con la sua diletta greggia, salmeggiando con essi loro in Choro, ed attendendo in camera alla speculatione Mathematica. Quiui parimente compose quelle due nobilissime Elegie de Contemptu Mundi. Et de secessu montis Maronis. Quiui riceuè le lettere del Comandino chiedente la risolutione d'alcuni nodi intorno à certe propositioni deprauate, e poco intelligibili dell'Isoperimetri d'Archimede, quale in quel punto s'affaticaua di tradurre del Greco, e datali poi la chiarezza e l'anima, e scombre co'l luminoso raggio di quel perspicace intendimento le nebbie ed oscurità; hebbe il Comandino stupefatto di tale, e tanto Oracolo à preconizarlo Principe de Mathematici, ed Archimede del nostro secolo; e d'indi in poi in ogni perplessità ed intrico, non si valse mai d'altro filo e guida, ad uscir da qualunche inestricabile labirinto, che del giudizio e dichiaratione di lui. In quel mentre fù dalla Maiestà Catholica eletto per Stradigò il suo Marchese di Giraci, onde vennero insieme à Messine, e quiui nella Chiesa Archiuescouale di S. Nicolò; fù dall'Arciuescouo di Reggio Gonzaga con l'assistenza di duo Abbati benedetto e Consecrato della degnità Abbatiale; ed il Senato, per compensare con qualche segno di gratitudine la virtù e merto del suo Compatrioto, l'assegnò cento scudi annui d'entrata vitalizia, e non molto poco altri cento per leggerui una lettione di Mathematica nell'Università di già eretta. Non passerò quiui con silenzio un caso, non sò degno via più di lamento e lacrime, che di merauiglia ed horrore. Percioche Don Giouanni Padre del Marchese partitosi da Castelbuono per conferirsi à Messina à riueder il caro figlio; due miglia discosto da Tauromina, in un picciol rio, anzi che torrente dalle cadute pioggie inondato e gonfio, disauedutamente annegossi. Varcato però da tutta la corte e famiglia senza veruno pericolo: onde dà cotal naufragio sortì quel fiumicino à lui fatale il nome di Leto Ianni. Fù il caso tanto piu mirabile quanto che gli lo predisse e pronosticò molto prima il Marulì, quale osseruatone nell'Oroscopo di lui l'ondoso rischio, ed il minacciato sdegno dell'urne celesti, auuisollo ch'à tutto potere si custodisse lungi dall'onde: e dalle nauigationi maritime, l'ubiddì appuntino quel Signore; ma alla fine nel guado d'un picciol rio, à che meno badar deuea, vi s'immerse fornendo nell'onde cotanto temute e fatali la vita. Anzi empirei le carte di lacrime e singhiozzi, che di righe ed inchiostro se io quiui dispiegar volessi i lamenti e pianti Marolici, espressi in funestissimi epice di e luttuose elegie; e l'acute punture di dolore, che traffissero l'anima del dolente figlio di già priuato et orbo di tale e tanto genitore; e lo risentimento che mostrò il Regno, anzi l'Italia tutta per la disgratiata morte, perdita del sangue Normando, e del Fiore de'Titolati, Asilo dei virtuosi, e Mecenate de'saui. Quinci per la partita del Vega inuerso Catania richiestone il Marulì d'accompagnarnelo, e dimorar con'esso lui nella residenza, ch'era per fare in quella clarissima Città, iscusossi di non poter per allhora porsi in viaggio, colpa della sua indispositione, cagionata più dal dolore che d'altro, e per il medicamento in quel dì preso per conto della sua vertigine, onde con istupore di tutta la Corte differi sua Eccellenza la partita per cotal rispetto, aspettando fin'atanto che'ei guarisse per menarlo seco. E di già guarito inuitollo più d'una volta à pranso, rimirandolo sempre mai con ciglio pieno di pari merauiglia, ed amore, ne cessando mai di lodarnelo in assenza, e riuerirlo in presenza, come huomo soprahumano e diuino; da cui richiese un pieno ed intero ragguaglio intorno alla Monarchia di Sicilia, per inuiarlo alla Maestà Cesarea, come in effetto fece, à cui dediconne egli i trè libri delle Linee horarie. Accadde poscia d'amalarglisi Giacomo suo diletto fratello, per lo che gli conuenne ritornar dà Catania, e trouossi presente al transito di lui, come etiando alla morte dell'altro nomato Giacomo, versando per ambidoi insieme con le dirotte lagrime, lamenteuoli Trenodie, e metri lugubri. Ma torniamo al Marchese, quale partitosi dà Sicilia, passò alla Fiandra, ed alla Corte del Rè Catholico, malcontento però, per non hauer potuto condurui seco il Marulì, che ne rimase in Catania ritenuto dal Vega, nè per ciò tralasciò egli d'anteporlo à sua Maestà, con tale encomio ed efficacia della dottrina e meriti di lui, che ne fù segnato per l'Arcimandritato di Messina, per allhora vacante, e l'harebbe al sicuro conseguito, se non le s'attrauersauano le lettere Ponteficie di Giulio Terzo che l'impetrarono per uno de'Cardenali attinenti. Si ridusse poi, partito dalla Sicilia per Ispagna il Vega con carico di Presidente del supremo Conciglio d'Italia, nella sua cara Patria Francesco, datosi ben tosto à stampare gli Sferici di Menelao, e di Theodosio insieme con li proprii, e mandò fuori il Compendio della Cronica Siciliana. Ma nell'anno 1559. dopo l'hauere scorsa tutta l'Alemagna, e varcati assaissimi paesi, e Regni d'Europa, spinto solo dal desio di vedere ed udire dè eccellenti Maestri, à guisa del gran Tianeo, tornado à Sicilia il Marchese di Giraci si vide piu che mai bramoso ed ardente di riattaccare l'antica prattica col Marulì, e venne talmente acceso di lui, che di subbito seco trasselo, senza volerlo per l'auuenire lasciar già mai partire dal suo lato; affermandone apertamente che quanti huomini letterati e celebrati dal mondo egli veduti hauea in quel lungo giro e scorsa da pertutto; à paragone del Marulì, erano quasi altrettanti Nani à petto smisurato Gigante, se pure non sembrauano à vista del Sole minutissime Stelle. Ponderaua con giuste bilancie quel sauio estimatore l'ammirabili talenti, e doti di quello, e quasi pietra Lidia hauendo di già fatta sufficiente proua de' più raffinati ingegni d'Europa; trouò che non era finezza tale nelle più famose Academie, che alla Marolica s'aguagliasse. Il perche propose condurne à Castelbuono la stampa per imprimergli tutte l'opere, di già sepolte per difalta di chi la mandasse in luce. Ma la Diuina prouidenza, che non di rado suole con l'inopinata morte troncar i disegni altrui, si compiacque di richiamar à se quell'inclito Heroe, cotanto bene merito delle scienze Astronomiche, ed amator de'letterati, onde nell'anno del Sig. 1560. trigesimo primo dell'età sua, à 14. di Settembre, tocco da leggierissimo parosismo di febre, rese con somma quiete, ed espressi segni di Cristiana pietà lo spirito al Creatore, con quel sentimento che à la perdita d'un tal personaggio si conueniua. Stordito da sì fiera percossa Francesco, e trafitto nell'animo da eccessiuo dolore si ritirò nella sua Abbadia, e quiui soprafatto da gli anni, e dall'asprezza del luogo, cagionata dalla vehemenza de' freddi nel cuore dell'inuernata più crudele del solito, fù dall'antica sua vertigine aggrauato in maniera, che nel costrinse à far ritorno à Messina. Lasciando però ogni buon ricapito per i seruiggi di quella. Ricouerossi nelle paterne stanze, e dimorò d'indi in poi sempremai meco per sino all'ultimo fiato. Reggea per allhora la Sicilia D. Giouanni Lacerda Duca di Medinaceli quale dir non si porebbe quanto godesse della Marolica conuersatione, e quanto prò e diletto prendesse dalla dottrina di lui, della quale spetialmente si valse di fargli fare alcuni atti giudiciarii: e tutto che fossero da quell'ugualmente dotto e zelante ceruello stimati men saldi, riponendone in mano della Diuina ordinatione il morso e gouerno di quelli, non già in balia de'rincontri ed influssi Celesti; ò confinandone, come altri non meno empia che follemente, la Monarchia e libertà dell'human arbitrio in un ponto benigno ò rio di signoreggiante pianeta, ò di trino e quadrato guardo[.] Tutta volta ne sortiuano effetti tali, ch'era à viua forza della verità e del preueduto auuenimento, ad esclamarne quell'Eccellenza: Propheta et, plusquam Propheta. A cui essando con assai infelice termine riuscita l'impresa e tentatiuo de li Zerbi, troncogli dal supremo Consiglio il corso del reggimento, d'incontanente si partì, ripieno però dell'heroiche prodezze e merauiglie Maroliche. Hor mentre dimoronne il mio Zio meco, videronsi à schiere à schiere sino da rimotissime contrade personaggi di merto e di valore, mossi solamente dal grido che risonaua d'ogni lato del suo sourano ed ammirabil ingegno, frequentar la di lui stanza, e quasi à nouello Salamone, od à celeste oracolo. proprogli varie difficoltà Mathematiche, ed hauutane poscia la chiarezza dipartirsene non meno sodisfatti che ammirati, Dolendosi in oltre, che nella Romana Chiesa si leggesse Martirologio cotanto mal corretto e men purgato per conto de' nomi, tempi e luoghi nulla coherenti al fatto e verità della storia e de'fasti Ecclesiastici, durò non poca fatiga per raffinarlo ed emendarlo, raffrontandolo con assaissimi Martirologi, e Menologi manuscritti ed impressi; inguisa che ido pò lui comparsi hebbero di già rotto il giaccio, ed aggeuolato il sentiero per scorrergli senza inciampio. Quindi mandatolo in Roma al Cardinal Amulio fù dalla .S. Sede Apostolica approbato, ed abbracciato universalmente con somma applauso dà tutte le Chiese. Dal Cardinal sudetto fu egli altresi richiesto ad inuiargli i Problemi Mechanici d'Aristotele, da lui già mostri ed espressi, e poco prima essendosi in Trento raunauto il sacrò Consilio; ramaricatosi per non poterui personalmente interuenire (impedito perauuentura non meno dall'età, che dall'infirmità e malageuolezza del viaggio e spesa) scrisse a que' rilucenti lumi della Chiesa, per iscusarsene, una lunga, ed affettuosa epistola, e fugli di lor cenno dall'Arciuescouo di Palermo, Monsignor Preconio assai honoreuolmente risposto. Ripiena hormai quell'eccellentissima Idea con tante doti e thesori di profonda scienza, quasi che ricca e splendente Amalthea, e lucidissimo Cielo tempestato, e distinto d'infinite Stelle, di tante differenze e varietà di inuentione, e scienze, quali od hauea di propro pugnio pur di anzi scritte, e riposte in conserua nel'erario, od esposte al Theatro del mondo à prò ed ammaestramento de' mortali, per mezo delle stampe: impiegossi, come che molto diffuse e prolisse elleno si fossero, à ridurle in breue methodo, risecandone le tante superfluità e lungarie. Il che fè egli più esattamente ne' Conici di Apollonio, di Archimede, di Tolomeo, d'Euclide, e di altri antichi Autori, e nell'opere parimente delle linee horarie, degli Ottici, dell'Aritmetica speculativa, de' momenti eguali che rinchiuse un un sol compendio e ristretto, meglio assai che co lui l'Omerica Iliade in un gusciolino di noce; anzi epitomizò la stessa Epitome, quasi diuidendone con sottigliezza ed artificio maggiore la linea del grand'Apelle. Venne in questo mentre D. Gartia di Toledo per gouernator del Regno, e con esso lui contrasse l'Abbate una familiarità, ed intrinsichezza indicibile, per hauerle mostre alcune carte Cosmografiche di propria inuenzione formate, delle quali sommamente se ne compiacque quel Signore, e diedene quel giudicio ed approbatione, ch'elleno da se meritauano, e che dà tale e tanto Prencipe peritissimo di cotal mestiero s'attendeua. Lesse à D. Pietro Velasches conseruator del Regno alcuni ponti Mathematici, e presentogli un quadrato Horario in piastra di rame, fegli oltre ciò fabricar une sfera di condecente grandezza cò suoi cerchi di metallo, ed Atlante ch'aprono ed incuruato dorso ne la sostentaua. Al Dottor Torres medico in prima del Vega, e poscia Giesuita diedene un Globo intorno à tre palmi di diametro con sommo magistero fabricato, c'hoggi dì si riserba in Roma nella Biblioteca del Collegio. Presentonne ancore la copia dell'opera de' momenti uguali da lui composta al Signor Adriano Acquauiua figlio del Duca d'Atri, venuto per allhora in Sicilia col Marchese di Pescara suo Zio, quale come intendentè e scienziato in cotal facoltà frequentaua non di rado lo studio Maurolico; ed arrivando doppo la squadra delle galee Vineziane nel porto di Messina per conto della Lega ed armata Nauale. Molti Personaggi qualificati lo visitarono, ed udirono, recandosi à somma gloria d'hauer veduto e pratticato quel raro mostro della Natura, fra quali fù il gran Priore d'Inghilterra, Vennevi etiando il Clauio Giesuita celeberrimo nella professione, e strinsero insieme, doue primieramente di lungi con lettere; quiui con gli animi di presenza (conferendo iscambeuiolmente assaissimi ponti difficili, e rileuanti) molta famigliarità: à cui egli assegnò nel prender congedo l'Originale de Fotismi, e dell'opera delli Diafani, distinti in tre libri, affine di farglili stampar in Roma; come anco al Comenzino, che passaua à Vinegia, per il medesimo effetto l'Opusculi Mathematici, l'Epitome delle Linee horarie, li cinque corpi regolari, la Musica, li tre volumi delle Linee horarie, del Computo Ecclesiastico, de gli stromenti, ed ordigni Mathematici, quali vennero dopò la sua morte impressi. Capitò in tanto il Serenissimo Don Gio:d'Austria figlio di Carlo Quinto, General della Lega contra il Turco, con l'armata Reale in porto, ed informato à pieno della qualità di tal sogetto, gli domandò il parere, e giudizzio intorno al tempo, ch'era per seguire nella partita ad affrontar l'armata Ottomana insino all'arsenale di Costantinopoli (se tanto fosse possibile) al cui compiacimento, e contemplatione, hauendo egli calcolato il tempo con l'osseruatione fatta di tutto il viaggio verso Levante, e datoglilo in nota, seguì appuntino senza preterirsene un iota. Onde al ritorno glorioso e trionfale per l'hauuta vittoria, non si satiauano quei Prencipi della lega, insieme con l'Altezza del Signor Don Giouanni, di lodar l'ingegno ed ammirar la dottrina, che parea signoreggiar i Cieli, ed haver in mano la briglia de venti, e del Mare; e quando poi si vide nel 1574. per più mesi lampeggiar con lucido, e vivace crine, ed habito assai strano e vago, quella nuoua Stella non mai comparsa in quel apparitissima scena del firmamento in concerto con l'altre, il giudizzio, che di lei il Marulì ne diede, presentato à Don Girolamo Manriquez Inquisitor Generale dell'essercito, fù sommamente approbato, e dato alle stampe. Ne tutto che allettato dalle scienze e compositioni Mathematiche, e speculationi intellettuali, trascuraua egli punto quella parte, che reca maggior prò all'anima, ed alla salute, recitando con sommo affetto, ed attentione il diuino officio, frequentando i Monasteri, e Conuenti de Religiosi, e le Chiese, ed in particolare quella di San Gio:Battista de Cauaglieri Gierosolimitani, nella quale udiuasi assiso in Choro cantar souente con festeuole sembiante.
Relliquias Placidi celebret Messana
perennes, Riuelando quasi diuino oracolo il celeste deposito, e tesoro inestimabile de' Sacratissimi corpi di Placido, e Compagni, per tanti secoli à dietro con sommo studio ricerchi, ma non mai ritrouati; che poscia con l'occasione di trasferirsi altroue l'altar maggiore, ed il Titolo, nell'anno 1588. si ritrouarono. I quattro, cioè Placido, co' duo fratelli, e Flauia lor sorella dentro nobil sepolcro; gli altri all'intorno co' capi mozzi, ferri nelle coste traffitti, garaffine rosseggianti di sangue, pentole d'ossa aduste colme, arsi noci, e corteccie, ed altri segni della Barbara fierezza e rabbia, fugelli però del vero, ed insegne, e trofei di lor Fede, e costanza. Trouossi parimente un precioso vasello presso il Teschio di Placido con la lingua di già recisagli (colpa di chi vi imaginò Tesoro stritolata) c'hoggi dì insieme con l'intera mascella, e denti di Flauia, ed una costa ammirabile, c'hà insiemme ed innestato ferro, ed orme d'arsiccio, e goccie di viuo sangue, ed une fragranza del Paradiso, quali tutti nella sagristia della Casa Professa de' Padri Giesuiti in Messina honoreuolmente si conseruano. Peroche (come dicemmo) si ritrouarono tutti in quel sito appunto, doue quel celeste Cigno souente fermatosi cotanto dolcemente cantar solea. La di lui conuersatione, e domestichezza non era quasi con altri, eccetto che con alcuni pochi Prelati per Santità, e dottrina illustri, e specialmente con Monsignor Rhetana, e co' Padri della Compagnia, nella cui Basilica per lo più ne celebraua: e stanzauane in oltre i mesi intieri nella lor villa del Castellaccio, leggendoui à non pochi le facoltà Astronomiche, ed edificandoli con la sincerità della sua dolce conuersatione, santità di vita, e profondità di dottrina; ed in particolare, perche vedeasi su'l marauiglioso volume di questa gran fabrica, più che in altro attendere, valendosi pure delle creature, in vece d'altretanti specchi, ne' quali scorgeaui gli diuini attributi, e l'ammirabili traccie dell'eterna sapienza. Laonde al primo lampeggiar del Sole di già rimontante nel nostro Orizonte, s'udiua ad alta voce inuitare tutti i circostanti, ed anco l'assenti à rimirarlo; ed egli giubilante esclamare, ecco il Gioiello de' Cieli, il Rè de' Pianeti, la lampade del mondo, il godimento dell'Uniuerso, lodate il Creatore per sì nobil fattura, ammirate il Fattore in sì nobil creatura. Era già d'anni graue, ed infermo il buon Francesco; quando fattane la riuolutione del suo Horoscopo dell'anno 1574, e 75. e riconosciutala poco felice, e fortuneuole, viueane assai melancolico, e perplesso. Tanto più che per tutta quasi la Quaresima sentiuasi picchiar fortemente l'uscio della camera, e corrando subitamente con somma ansietà per aprirlo, non ritrahendone l'autore, preselo à sinistro augurio, e prouollo in fatti così. Imperoche scopertasi in su'l Maggio la peste, nel mese seguente appartossi nell'antico, e paterno recesso di Sant'Allessio in Villa, e quiui fù da una celestial visione, poco men che ammonito, à prepararsi per l'altra vita, Auengache dormendone Siluestro mio fratello (Abbate al presente di Roccamadore) in una istessa camera; chiamollo in sù l'Aurora (nella quale era egli sempremai solito dì starne desto, per chiedergli in segno di riuerenza, ed amore, come hauesse riposato in quella notte) non una, ma più volte, ne udendono risposta, alzando impatiente à tutto potere la voce, e'l grido, il risuegliò, à cui egli con graue, e turbato ciglio, disse, Dio te'l perdoni figlio, e c'hai tu fatto, m'hai intorbidato il bel sereno delle mie contentezze e godimenti celesti con il tuono, e bisbiglio delle tue voci, e chiamate: Pareami solazzare in un luogo assai ameno e diletteuole, à merauiglia ripieno di tutte quelle bellezze e diletti che od imaginar, ò bramar si possono dal cuor humano, e quasi fra gli eletti in Paradiso, liquefatto interiormente di celestial dolcezza, ed assorto nell'esteriore dalla vista d'un giocondissimo spettacolo; e tu con isuegliarmi m'hai ritolto ogni diporto, e consolatione; sappi in vero che in tutta la mia vita non hò prouato dispiacere, e disgusto simile; come al rouescio non si puol' esprimere con lingua humana i conforti, e ristori celesti, che in questa auuenturosa notte hà prouato l'anima mia. Quam magna est multitudo dulcedinis tuae Domine, quam abscondisti timentibus te; concupiscit, et deficit anima mea in atria domini. Laonde à 18, di Luglio nel dì di Domenica, itone sano e saluo à letto, ne d'indi (come era suo costume) à buona hora rizzatosi, ne fù da' suoi tosto isuegliato, ritrouato però che appena proferir potea, ed articolar la favella. Onde si scorse apertamente, esserne stato in quella notte da non leggier parosismo di febre assalito; quale radopiandosegli poscia nel mercordì con rigor, e vehemenza tale, che ancorche se gli applicassero i più esquisiti, ed efficaci rimedi, non fù mai possibile mitigarlesi. Laonde prendendo tuttauia forza la furia del male, e sommessane la natura, preso dopò il Sacramento della Penitenza il celeste viatico, con l'assistenza di due Padri della Compagnia di Giesù, recitando con piaceuole suono di voce, ma ardentissimo affetto di diuotione il salmo 148, nell'ultimo vesicolo, Omnis spiritus laudet Dominum, rese egli parimente il suo medesimo spirito à lodarne quel Signore eternamente in Cielo, che magnificato hauea temporalmente in terra, l'anno del Signore 1575. dell'età sua ottogesimo. Talmente s'era quel benedetto spirito habbituato nella contemplatione delle supreme sfere, ed armonia dell'uniuerso, che nulla satio d'hauerla in tutto il progresso della vita speculato, ed ispiegato ne' dotti, ed infiniti volumi. Volle in quell'ultimo articolo di morte inuitarla etiandio seco à lodarne il commun Signore, e fattone della lingua altare, offerigli que' mistici Vitelli di labbra, e sagrifici di lode, che cotanto piacciono alla Diuina bontà. Predissero, ed occorsero nella sua morte alcuni segni, e prodigi assai notabili; percioche trè giorni prima del suo transito, sopra la cresta (che chiamano) dell'ulivo, nell'istesso podere, apparne una Cometa con fiammante crine, e minaccioso aspetto ch'empi tutti, che la mirauano, di spauento, e timore; e poscia al suo spirare subito mancò. Lo Cipresso tanto celebre per l'antichità, ed altezza, ch'era quiui nella paterna villa, tosto ch'ei rese lo fiato, e l'anima al suo Creatore, con istrano prodigio s'inchinò verso il suolo, accennando perauuentura, come pianta funebre, e mortale, la morte di quel sommo Eroe, e mostrandone, tutto che insensibile, risentimento, e ramarico, per si gran perdita; ed otto dì dopo la sua morte si rizzò sù, ritornando ad suo sesto e drittura naturale. Fù riposto il cadauero in condecente auello nel Conuento di San Francesco di Paola, poco distante dalla Città, e quindi poscia, cessatane la peste, trasferito dentro la Basilica di San Gio:Battista nella Cappella Maurolyca, doue hoggi dì gloriosamente riposa rinchiuso in un marmoreo sepolcro, con il seguente Epitafio. D.O.M. D. FRACISCO MAVROLYCO patricio Messanensi, ex clariss. Marulorum Familia, Abbati Diuae Mariae à Partu, Viro Christianae pietatis zelo, et rerum occultarum scientia, veteribus patribus, et philososophis comparando. Mathematicorum omnium Doctorum consensu, facile Principi; Qui ea studia pene extincta in lucem reuocauit, scriptorum suorum multitudine illustrauit, auxit, propagauit, vitaeque innocentia exornauit; adeò ut eius, tamquam oraculi visendi consulendique studio undique etiam à remotissimis regionibus conflueretur. Don Francescus Forestae, et Sancti Georgii Baro, et D. Syluester Doct. Theolog. Abbas Roccamatoris Marulì fratres, patruo benemerentissimo sepulchrum pro tempore angustum PP. donec aliud Augustius dignum virtute, et meritis eius erigatur. Vixit Ann. LXXX. Mens. X.D.V. Obyt. XI. Kal. Augusti 1575.
Te quoque Zancla tulit, Maurolyce, ne sit in uno E di sotto l'altro Epitafio li seguenti versi.
Te Pietas, te Relligio, te dia Mathesis, Fù il Marulì d'una eccellente, ed ottima temperatura dell'organi, di statura proporzionato ed erto, di color confine tra pallidezza e candore, di forze robusto, di fronte e volto graue, di capo grande e caluo, di naso quasi cha aquilino, di pelo nero e folto, largo di spalle e petto. Intorno all'aurei suoi costumi, sembraua taciturno e parco al dire, patientissimo al soffrire, munifico con la famiglia, frugale in se stesso, pensoso sempremai, raro à contrarre dell'amicitie, ma delle già contratte osseruantissimo, largo in communicar à gli amici le sue speculationi, gelosissimo dell'altrui fama, non fù miga maledico, non rimproueratore, non ambitioso, anzi talmente sprezzatore di gloria, ed honore terreno, che soleua ben ispesso dire di stimar nulla, che l'opere da se con si lunga fatica composte, e lambiccate à viua forza di studio da qual raro ceruello; d'altrui nome fregiate, si esponessero al mondo, pur che à prò de' mortali, e contezza del vero elleno fossero publicate. Zelante quanti altri mai nella sana Religione, e de' riti, e dommi Ecclesiastici, frequente alle Chiese, ed uffici diuini; e per ciò non mai contento d'una sola Messa, n'udiua tre, e quattro alla fila. Fù egli di segnalata eruditione, di perspicace ingegno, di tenace memoria, vigilante ne' studi, che l'accadè più fiate passar la notte insonne con gl'occhi ne' libri, e l'intelletto nell' arcani della Natura, speculando l'altrui dottrine, e censurandone gli errori: universale in tutte le facoltà, esattissimo nel recitar à suoi tempi con somma attentione l'hore Canoniche, Assiduo alla contemplatione delle scienze Mathematiche, in tanto, che ne contrasse quella danneuole vertigine, che ad hora, ad hora ne le ritrahea da' studi, e tormentauali stranamente il capo; Ma ne partorì tante, e sì rare, e peregrine scienze. ed invenzioni, che saran sempremai lumi del cielo, e freggi della Nature, non che stupori, e merauiglie del mondo. Percioche fù egli il primo autore del centro della grauità ne' corpi solidi. Ridusse à perfettione il calcolo de' Triangoli sferici; dimostrò con breuità, e chiarezza ineffabile non poche dimostrationi, da altri, ò con noiose lungarie addutte, ò con oscurità, e tenebre spiegate. Compose volumi quasi infiniti, comme si vederanno appresso nel Catalogo. Fù in gran maniera amatore de' Compendii, ed estratti, onde notaua ne' suoi darii non gli accidenti solamente; ma encora le particolarità, ed indiuidui; tutto che minutissimi, ed atomi. Ne' studi diuidea in ogni scienza gli di lei subietti, riducendoli ad arbore, od à capi con esattezza mirabile. Soleua ben ispesso dire, che non per altro egli sì fortemente acceso s'era della Mathematica, saluo che per esserne ella nel primero grado della certezza situata, nella quale fece così gran progresso, ed auanzo cotanto notabile, che si lasciò di gran lunga à dietro tutti, non meno antichi, che moderni autori, non hauendo giamai difficultà veruna proposta, che non l'hauesse pronta, ed ispeditamente spianata. Il perche dalli scritti di lui, quasi da viua sorgente, ed abbondeuol fonte, hanno i più eccellenti scrittori lor compositioni lodeuolmente ricauate. Scrisse volumi assaissimi di Perspettiua, di Aritmetica, di Diafani, dell'Iride, e d'altri importanti, e curiosi ponti Matematici. Ristorò l'Opere d'Archimede, i Conici d'Apollonio Pergeo, aggiongendoui il 5, e 6, li Sferici di Menelao con l'aggionta di due altri, due de'Cylindri, cinque dell'Equiponderanti, con la notitia del centro della grauità de' corpi solidi, discusse con esatezza la speculatiua di cinque corpi Regolari, nulla per l'adietro pratticati. Fù in vita così celebre, e famoso, che da gli* ultimi confini d'Europa, non che dal seno della bella Italia vi si conferivano personnaggì di qualità, solo per rimirarlo, ed ascoltarlo, anzi chiedeuanli in sul partire fede in iscritto d'esserne stati con essolui, e d'hauerlo udito. L'opere sue furono cotanto stimate, che in Roma, Vinegia, Francia, Germania, ed Ispagna più d'una volta s'impressero, anzi penetrarono oltre il Meditarraneo, di là dalle colonne d'Ercole nel America, nel Messico, in amendue l'Indie Occidentali, ed Orientali. Citanle come lumi nel buio, scorte nel viaggio, fili ne' labirinti, tutto che intricatissimi, ed Oracoli più, che Pithii, ò Delfici ne' dubbi e perplessità; i Bembi, i Comandini, i Claui, e chi'l noma nuouo Archimede, chi lo celebra Principe de' Mathematici, chi l'intitola Sole della facoltà Astronomiche, ch'il vanta huomo sourahumano e diuino. Onde à ragione dir si puote, che in lui fè l'ultimo suo sforzo la Natura, e con lui ò nacque, ò rinacque di già estinta la Mathematica, c'hebbero Spettatore i Cieli, Censore le Stelle, ed ammiratore i Pianeti; e per sigillo, e testimonianzia di quanto hà quiui accennato fedelmente la penna, addurrò in prima quel c'han sentito i più famosi Autori di lui, dipoi l'opere in tutto il progresso della vita dell'istesso composte, tanto le già date fuori alle stampe, quanto le riposte nell'arca per imprimersi; e nel fine l'armonia, ed argutezza della sua dotta Musa. |
Inizio della pagina |