F r a n c i s c i M a u r o l y c i O p e r a M a t h e m a t i c a |
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Cosmographia | Libro primo | Parte 4 |
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[Anti.] Fora bono che la raggione ci sciamasse164 del'ordine et numero dei cieli. [Nico.] Tu mi concordasti per Dio buona cosa. Tanto più che circa questo dagl'antiqui gli moderni alquanto discrepavano, perché gli vetustissimi astronomi ponevano la più alta spera esser la stellata, sotto quella il cielo di Saturno, appresso quel di Iove. Marte sopra il Sole et sotto il Sole Venere, et Mercurio, et la Luna infima. Del quale ordine io ti posso assignare tre raggioni, cioè la quantità del moto, la diversità de lo aspetto, l'ecclissi. Perché qual di due pianeti ha più veloce il moto proprio, o ha maggior diversità de aspetto, o ecclissa, cioè asconde agl'occhi nostri l'altro, è più basso che quell'altro. Onde perché la Luna tra pianeti è velocissima et ha massima la diversità d'aspetto, et è stato vista ecclissare il Sole et ogn'un degl'altri pianeti, et stelle, però senza dubio si cognobbe havere tra tutti il più basso luoco. [Anti.] Che cosa è diversità d'aspetto? [Nico.] La differentia tral vero e visto165 luoco del pianeta.166 Il vero luoco si mostra per un filo tirato dal centro de la terra per lo centro del pianeta. Il visto per un filo tirato dal'occhio nostro per lo centro del pianeta. [Anti.] Adunca perché, come tu mostrasti, la terra a rispetto de la solare spera et dele altri superiori è quasi un punto, seguita che tal diversità d'aspetto negli superiori pianeti insensibil [C:29v] sia, et perciò né comprendere si possa chi di quelli habbia maggiore diversità, onde non si potrà per questa via conoscere chi di quelli sia più alto et chi più basso. [Nico.] Per l'altre due vie si certifica, cioè per la velocità del moto et per lo ecclissare di l'uno l'altro. [Anti.] Or siati concesso. Che dirrai del Sole, Venere et Mercurio che hanno i moti equali, et la diversità d'aspetto non ben perceptibile, et poi né Venere né Mercurio fu visto mai ecclissare il Sole. [Nico.] Per questa causa alcuni delli posteri, come Platone167, mutaro l'ordine sopra detto, et posero Venere et Mercurio sopra il Sole. Ma tale fu frivola caggione, perché non bastava né l'una né l'altra di queste due stelle ecclissare il Sole; che'l solare diametro a quel di Venere è decuplo, come pone Albategnio168, et però, come gli geometri insegnano, la superficie169 solare a quella di Venere centupla esser conviene, et maggiore a quella di Mercurio. Onde siegue che cossì questo come quella non può dela solare faccia più che la centesima parte ascondere, il che non si può con la vista discernere. Per tal coniectura dunque non siegue che Venere, et Mercurio non possano sotto il Sole stare. [Anti.] Né quella medesima ci vieta ponergli sopra. [Nico.] Io ne assignerò un'altra che lo vietirà, et inducerarti a metterli sotto il Sole. [Anti.] Qual è quella? [Nico.] Il Sole, nella sua minima distantia dalla terra, è lontano dal centro del mondo mille cento vent'uno, tanti quant'è il semidiametro [C:30r] dela terra; et la Luna, quando è remotissima da noi, sessanta quattro tanti dal detto centro s'allontana. [Anti.] Come provi tu che così170 sia? [Nico.] Ptolomeo, per certa observatione, questo comprese, et Albategnio da quella non molto dissente. Onde segue che, quando i due luminari sono tra loro vicinissimi, distano l'un dal'altro mille et cinquanta sette tanti, quanto è il semidiametro dela terra, come appare sottrahendo l'una distantia dal'altra. [Anti.] Cossì è. [Nico.] Hor vuoi tu che tanto intervallo tral Sole et la Luna sia vacuo? [Anti.] No ché la natura nol consente. [Nico.] Adunca vi sarà qualche celeste corpo. [Anti.] Senza dubio. [Nico.] Or voi tu che consenta la natura <tanta171> mole stare otiosa et supervacua? [Anti.] Vulgatissimo è tra philosophi che Dio et la natura niente vano o superfluo producono. [Nico.] Ad ogni modo dunque cotale intervallo di stelle viduo non sarà. Ma quai stelle se non Venere et Mercurio collocare vi potremo? [Anti.] [Anti172] Certo non altre. [Nico.] Ecco che con ottimo argumento te ho mostrato Venere et Mercurio deversi sotto il Sole collocare. Et tal ragione aduce il nostro Giovanne di Monte Regio perspicacissimo nel nono Libro del Breviario di l'Almagesto. E come i tre superiori, per la similitudine de i loro moti, immediatamente son locati, cossì anchor questi due, de li qual parlamo, insieme locarsi denno, per la similitudine che hanno nel moto. Et quanto ala longitudine et quanto ala latitudine così li su[C:30v]periori convengono col Sole nel moto di l'epiciclo, et l'inferiori nel moto di longitudine. Et esso Sole medio riduce ad uniformità il moto suo di longitudine col moto nell'epiciclo. Perché con l'epiciclo nel concentrico ben si salva l'apparentia del moto solare, come dice Ptolemeo, ponendo sì li moti de tal due orbi. [Anti.] Ma come saprai tu qual di questi due pianeti sia sopra l'altro collocato? [Nico.] Benché Ptolemeo lasci questo passo indeciso, e'l detto Giovanni dica questo non potersi investigare per via alcuna, non di meno io assegnerò alcune raggioni che ci inducono confessare Venere essere sopra di Mercurio. [Anti.] Forse perché fu ale volte Venere da Mercurio celata, et ecclissata. O ver perché per osservatione se ha compreso Mercurio havere maggior diversità d'aspetto. [Nico.] Io non vuo' usare questi due argumenti. Quello perché tal ecclisse è rarissimo; questo perché la differentia di loro diversitati è sì piccola, che a pena si può per instrumenti deprendere. Benché non siano impossibili suppositi. [Anti.] Qual dunque coniecture restano? [Nico.] Tu non poi negare che le destre parti del mondo habbiano alquanto più dignità che le sinistre. [Anti.] Quali intendi tu le parti destre? [Nico.] Quelle certo, che al nascente Sole sono da man destra cioè le septentrionali et l'australe sinistre, come anchor Empedocle disse. [Anti.] Sia concesso che le septentrionali siano più degne, che cosa quindi segue? [Nico.] Addunca di due stelle quella più degna esser conviene che [C:31r] più, o prima173, al septentrion s'accosta. [Anti.] Sia quella più degna. [Nico.] Il centro di l'epiciclo di Venere sempre è septentrionale dala ecliptica, et australe quel di Mercurio. Et più, l'auge di l'epiciclo, posto nella summità del deferente, et lo lato orientale di l'epiciclo posto nel nodo ascendente, che sono i loghi precipui, sempre in Venere dechinar comincia ver septentrione et in Mercurio ver austro, et perciò segue che di questi due Venere goda di qualche anteriorità. [Anti.] Questo siegue. [Nico.] Vuole dunque il natural ordine che Venere sia anteposta, et collocata in più alta sphera, et più vicina al Sole. [Anti.] Sta bene l'argumento concessi gli suppositi. [Nico.] Ancora perché Mercurio, nella varietà delli moti, assimiglia ala Luna, et è differente dal'altri pianeti, deve ala Luna esser collaterale. Ma coglie174 un altra raggione. Perché la natura però habbia dato gli circoli declinanti dala ecliptica agli pianeti, acciò che dal Sole nele congiuntioni, et nelle oppositioni dal punto opposito per diametro al Sole si trovino per lo più, quanto fu possibile, discosti. [Anti.] Et che noia patiscono i pianeti dalo avvicinarsi al Sole, o al'opposito punto? [Nico.] Vicini al Sole perdono il splendore, et combusti175 (come si dice) tornano. Vicini al punto, che al Sole per diametro è opposito, perdono la vista di quello per l'interpositione de la terra, et cossì o patiscono ecclisse (come ala La Luna accade), o di fulgore mancano. [Anti.] Dunque per fugire tai difetti gli pianeti sortiro176 [C:31v] i cerchi declinanti. [Nico.] Sì bene. Non vedi tu che se la Luna non havesse declive da l'eccliptica il deferente, et essa e il Sole ogni mese pateria l'ecclisse? [Anti.] Così fora senza dubio. [Nico.] Et fu di bisogno che circa questo la natura con più studio provedesse a quei pianeti, le cui spere sono a quella del Sole contigue; perché per tal vicinità sono al difetto dela combustione più obnoxij. Fu congruo dunque che tai pianeti sortissero maggiori epicicli, acciò con l'inclinatione di quelli potessero meglio schifare177 tal combustione. Convertendo adunca la propositione, conviene che questi pianeti siano al Sole prossimi, ché maggiori epicicli sortiscono. Ma Venere et Marte tra i pianeti hanno grandissimi gli epicicli; adunca questi due sarranno al Sole collaterali, cioè Marte perché più tardo sopra, et Venere sotto il Sole. [Anti.] Questo è per Dio, uno sottile argumento. [Nico.] Et cossì come havemo argumentato da la grandezza degli epicicli, così dal sito degli loro deferenti questo medesimo conchiudere possemo, perché la sommità del deferente di Venere con la sommità di quel del Sole ad un verso sta, et quella di Marte puoco indi s'allontana. Il che è un'altra causa per schifare la dannosa vicinità del Sole; perché quando per caso Venere nella coniuntione sua col Sole si trova, si trova nella sommità del suo deferente, luogo ala Spera del Sole vicinissimo; il Sole si trova ancora nella sommità del suo [C:32r] deferente178, luogo dala spera de Venere rimotissimo; e cossì da quella si dilunga, et questo medesimo poi dire del Sole con Marte. Il che non fora, se altro sito gli deferenti loro havessero. Come gl'altri pianeti hebero, i quali di tal dispositione, non hebbero tanto bisogno essendo già le spere loro dala solare discoste. Et più ti vuo' dire, che quanto più sono dal Sole discoste le spere, tanto men godeno di ditta dispositione. Onde di Iove et Mercurio gli epicicli sono minori che quei di Marte et Venere, et l'augi più discoste da l'auge solare, e gli epicicli di Saturno et la Luna ancor più minori, et l'auge di Saturno più discosto da quello del Sole et par che la natura l'havesse previsto secondo lor bisogni. [Anti.] Di vero non verriano tante cose apunto, si fermo non fosse l'argumento. [Nico.] Et a ciò più fermo sia, un altro ne aggiungo se m'ascolti. [Anti.] Me sarà gratissimo. [Nico.] Tu sai che il Sole è il più nobile di corpi celesti, et tal che senza quello tenebroso fora il mondo; perciò conviene che tra i pianeti ottinesse il luogo più degno. [Anti.] Per questa raggione gli convenia il più alto luogo. [Nico.] Anzi il luogo medio, perché come un re nel mezo del suo regno suole stare, accioché ogni luogo sia provisto179 di giustitia, et di quel che chiede, così questo rectore del tempo, questa lucerna del mondo, questo moderatore de l'altre stelle, come dice Macrobio, ottenne tra pianeti il luogo medio, acioché i tre superiori in un modo [C:32v] et li tre inferiori in un altro dal suo principe et duce nei moti loro piglino il governo, come ancor Marsilio Ficino ragiona. D'ogniuno deli tre superiori l'epiciclo in tanto tempo si rivolve, in quanto il Sole ad esso pianeta fa ritorno. Et gli inferiori nel moto di longitudine sono anchor al Sole colligati. Ancora il Sole, che sempre per mezo del zodiaco camina, dovea nel mezo luoco stare di quei, che or da settentrione, or da l'austro gli vanno ballando. Et come il cuore del'animale nel mezo del corpo, cossì il core celeste (come dice Macrobio) nel mezo deli cieli star deve. [Anti.] Io vorrei meglio intendere questa colligantia dei moti dei pianeti col Sole. [Nico.] Del moto dei pianeti nel suo logho parleremo apieno. Adunca questo è il vero ordine dei cieli. Tacciano180 Anaximandro, Mettrodoro et Crate,181 che stoltamente ponevano supremi il Sole et la Luna; et di sotto l'erranti et non erranti stelle. Taccia Alpetragnio, il quale Venere, taccia Platone182 con gl'altri, i quali anchor Mercurio sopra il Sole ponevano. Questo è l'ordine dei pianeti dimostrato, approbato, et usitato. Così tene Ptolomeo, cossì Alfagrano, cossì Albategnio, e tutti Astronomi. Cossì li Caldei, cossì Archimede, come signia Macrobio. Onde, per antiquo et philosophico decreto, gli pianeti, secondo l'ordine detto successivamente pigliati, per l'hore temporali insino ad hora signoregiano,183 et perciò ogni iorno dela settimana da qual pianeta, che in l'ora sua prima regna, il nome sortisce. [Anti.] Hor chi si potria opporre a tante raggioni, et testimonij? Ma vengamo un poco al numero. [C:33r] [Nico.] Quanto al numero degli cieli è anchora varia tra gli autori l'opinione. Gli vetustissimi astronimi, i quali secondo Diodoro fuoro Egiptij, vedendo, come sopra ti dissi, le stelle fisse con distantia tra loro invariabile levarsi et colcarsi, s'accorsero quelle in un medesimo cielo essere chiavate, et pensaro che non altro moto, che'l diurno facessero, et però giudicaro tal cielo essere il primo mobile, il quale col suo velocissimo moto, per dì et notte una volta dando, l'inferiore sphere seco rapesse. Et havendo compreso per sette varij moti dele sette più basse stelle e sette essere gli cieli inferiori, dissero in tutto otto dovere essere gli cieli. Arsatile poi, et Timocare, per anni quasi trecento trenta innante la natività di Christo, osservando in Alexandria alcune stelle fisse, a pena s'accorsero del moto tardo di quelle. Per anni duecento poi di questi, seguitò Abrachi, et Hipparco, li quali conferendo le sue osservationi con quelle di Timocare compresero il detto moto. Per anni centosettanta appresso, Agria in Bithinia, et Mileo184 geometra in Roma; et per altro cento anni poi, Ptolemeo clarissimo in Alexandria, tenendo l'occhio ver le stelle assiduo, intesero quelle sopra gli poli del zodiaco verso livante ogni cento anni un grado moversi. Onde segue una rivolutione in trentasei migliara di anni coprirse. Così si comprese l'ottavo cielo per due moti moversi. Et perché non può un corpo per sé dui moti fare, fu necessario il nono cielo ponere, accioché solo il moto ver livante fusse proprio di l'octavo, [C:33v] et il diurno ver ponente, per impeto del nono, facesse. Et così185 esso 9o, un simplice moto havendo, fusse il primo mobile. Il quale, come l'aristotelica philosophia186 c'insegna, un solo moto fare per ragione deve. Ecco adunca che, dale dette osservationi, si cava gli cieli essere nove. Venne 740 anni poi di Ptolemeo, Albategnio Arabo il quale, in Aracta187 affrontando le sue considerationi con quelle di Mileo, et Ptolemeo, conobbe le stelle haversi mosso in detto intervallo a raggione d'un grado per 66 anni. Altri pensaro le stelle moversi otto gradi ver livante, et altri tanti ver ponente a raggione di un grado per anni 80. Successe poi Tebit, il quale, per salvare tal varietà di moto nele stelle et ancor la varietà dela massima declinatione del zodiaco da diversi variamente trovata, imaginò che gli principij d'Ariete et Libra dil'8o cielo, sopra due piccoli cerchi girando circa l'equinoctiali punti de la 9a, facessero il moto di trepidatione. Alfonso, o188 l'ultimo re di Castella, che regnò ali 1250 anni del Signore, vista l'opinione di Tebitio, mutò alcune cose nel moto di trepidattione, et aggionsevi il moto di longitudine ver livante. Così, se ad Alfonso or credemo, l'octava spera viene a fare tre moti, cioè il diurno, quel di longitudine, che in 49 migliaia d'anni si compie, e quel di trepidatione, che un giro fa in 7 mila anni. Adunca, come la raggion vole, uno di questi tre moti sarà proprio ad 8o, cioè quel dela trepidatione, gl'altri bisogna che li faccia per impeto di due superiore sphere, cioè quel di longitudine ver livante, per virtù dela nona ala quale tal moto sia proprio; [C:34r] et il diurno, per virtù dela decima, che tutte l'inferiori seco tiri; et sia il primo mobile. In questo modo dece saranno gli cieli. [Anti.] Io vorrei questi moti, posti da Tebitio et Alfonso, meglio intendere. [Nico.] Io ti reservo questo con l'altre theorie che ti ho da exponere, qui tanto ne ho toccato, quanto fu per chiarire il numero degli cieli necessario. [Anti.] Ma come te hai tu dimenticato il cielo empireo. [Nico.] Io te ho parlato degli cieli mobili. L'empireo è immobile, et, come Strabo dice, intellectuale, il quale, come anchor scrive Beda, creato di continente189 fu di angeli fornito. Ma se questo vuoi con gl'altri anchor numerare, in tutto ondeci sono i cieli. Et dicoti anchor, come il primo mobile col suo rapidissimo diurno moto sopra li poli del mondo girando seco ver ponente tira tutte l'inferiori sphere, e così per virtù del nono et de l'octavo cielo tutti gli bassi cieli il moto dele fisse stelle ver livante che facciano bisogna. [Anti.] Come adunca per virtù del ciel di Saturno gl'inferiori quel medesimo moto non fanno? [Nico.] Or tu non hai ancor ben inteso il sito di questi cieli. Sappi che i detti dece cieli mobili sono tra loro contigui, et giù di giro in giro vanno l'un l'altro abrazando, come le spoglie d'una cipolla fanno, di modo che la concava faccia de l'abrazante sia una medesima con la convessa dela abrazata, et tutte con la terra concentrice. Onde per tale contiguità è necessario che il primo mobile seco traha le novi inferiori. Et che il nono faccia [C:34v] fare il suo moto a tutti gli 8 più bassi ver livante. Né altrimente l'ottavo, col moto di trepidatione, tutti gli sette sottoposti cieli seco tiri. Ma il moto, che fa Saturno in trenta anni, non può seco menare il ciel di Iove. Perché tal moto non lo fa tutto il cielo di Saturno, contiguo a quel di Iove, ma lo fa un orbe, immerso nel cielo di Saturno, che deferente si chiama, di modo che non può toccare, né movere il ciel di Giove. E così intende del moto di Iove che in 12 anni si compie. Così di Marte che in due. Non altrimente del Sole, Venere et Mercurio, che in un anno. Et de la Luna che in ventisetti dì et un triente190 ver livante tutto il corso volta. [Anti.] Hor io ho ben inteso quel di che dubitava. Ma come non hai tu parlato del cielo christallino, né del firmamento? [Nico.] Il firmamento dei theologi dicono essere l'ottavo stellato. Et alcuni l'agregato di esso 8o191 con li 7 più bassi, chiamasi così per la sua firma clausura, et intransgressibile termino, prendo Augustino. Il cristallino cielo altro non può esser che il nono, o ver l'aggregato del nono et del primo mobile. Percioché, come scrive Moysè nella creatione del mondo, Dio puose il firmamento tra l'acque superiori et inferiori. Quelle sono il detto cielo cristallino, il quale altramente glatiale, o aqueo, si chiama, però forse d'un giazo, o d'un cristallo, par che sia fatto. Queste sono le acque, o ver materie elementari. [Anti.] Così cade ogni cosa al proposito. Ma questi tai [C:35r] moti fannonsi sopra un medesimo asse, o sopra diversi? [Nico.] Il moto del primo mobile ver ponente gira sopra l'asse del mondo, che è quel di l'equinoctiale. Degli moti poi contrarij, quel del Sole volta sopra l'asse proprio, equidistante a l'asse del zodiaco del 8o cielo. Onde il centro del Sole, sempre, nella piana faccia del detto zodiaco si trova. Quelli de la Luna, et gli altri pianeti, rotano sopra diversi assi et non equidistanti a l'asse del detto zodiaco. Onde i loro deferenti, esso zodiaco segando, da quello declinano. Et oltre ciò, da esso zodiaco, et cossì dal mondo, eccentrici sono. Et tutti, fuorché quel del Sole, portano un piccolo cerchio, epiciclo detto, il quale circonvolve il corpo del pianeta di sopra ver livante et di sotto ver ponente; fuorché quel dela Luna, che per contrario rota. Ma tutti questi moti intendo un altro iorno, con più particolarità, dechiararte. [Anti.] Tu m'hai192 così bene esplicato la forma, il sito, l'ordine, il numero, i moti, sì dele celesti come dil'elementari spere, ch'io credo che meglio non si potria. [Nico.] Anzi io meglio ti farrò intendere come di questi deferenti ogn'uno stia, et come quel del Sole sopra il centro proprio; quel dela Luna sopra il centro del mondo; quei degl'altri pianeti sopra gli centri di loro equanti, regularmente girano. Et come quei di Venere, et Mercurio vanno dala eccliptica, hor quinci, hor quindi, deviando. Et come gli puncti, dove quel de la Luna taglia l'ecliptica, che capo et cauda del dracone si chiamano, con tardo moto ver ponente vanno. E come la [C:35v] piana193 faccia del lunare epyciclo sempre nel piano del suo deferente giace. Ma degl'altri pianeti gli epicicli loro summità inchinano, et quei di Venere et Mercurio gli lati ancor reclettino194; per li qual moti, hor a borea, et hor ad austrino195, da la solare semità196 divertino197. [Anti.] Io t'asculterò volentiero. Ma il Sole è già vicino a l'occaso; et gli pastori le lor gregi ver le mandre cacciano. E' tempo che ver la città facciamo camino. [Nico.] Passamo a questa vicina valle di San Nicandro, perché più solitaria, quindi et amena è la via. [Anti.] Orsù andiamo. [Nico.] Questa è la grotta nella quale si dice haver habitato San Nicandro con i suoi compari, dove d'erbe et acqua simplice contento, né di mondane delitie né d'humane laudi fe' cunto alcuno. [Anti.] Felice homo che, col temporal travaglio, si conparò la gloria eterna. [Nico.] Per non ci ammogliare i piedi nell'acqua, che di questa fornicata198 fonte corre, potremo, se ti piace, per questo colle di man destra salire. [Anti.] Così farremo più lunga la via. [Nico.] Sarrà molto più dilectabile. La voluptà allevia il travaglio. Vedrai una fonte testudinata con due fenestre alquanto di capillo venere. Innanzi la quale, d'un piccolo buso, l'acqua in alto, et spiccia, et in una saxea concha ricade. Et passato il colle vedrai una convalle, con alcuni altri pendenti di capillo venere converti che tutti pioveno, e chiarissime fonte fanno. Et quindi partiti superato il sequente colle, scuopreremo [C:36r] la chità. [Anti.] Horsù acceleramo il passo. [Nico.] Questa è la fonte che io ti dissi. [Anti.] E' mirabile in sì eminente luogo quest'acqua trovarsi. [Nico.] Traversamo questo colle, et vedremo quell'altro luogo d'acque copioso, che Tremonti volgarmente si chiama. [Anti.] O luogo amenissimo, o venerando habitacolo di nymphe et muse. [Nico.] Potriamo alquanto qui posarci. [Anti.] Passamo199 orsù, perché l'ora è tarda, et buona parte di via ci resta, andiamo. [Nico.] Ecco che la città, col suo curvo porto, comincia a vedersi. In questa ampia valle gli minoritani monachi, quinci un cenobio, et quindi un altro più vicino a la chità, possedeno. [Anti.] Io veggio ben l'uno et l'altro. Ma che turba è quella innanzi la porta de la cità? Alcuna cosa di nuovo vi sarrà? Io vuo' accostare per intendere. [Nico.] Io t'aspetto qui da canto. Gran discorso habiam fatto ogi circa la descrittione del mondo. Io delibero un altro iorno seguire quel che resta sopra il fatto dela spera, a ciò niente si lasci, che sia agli astronomici200 principij opportuno. Ma ecco che l'amico torna. Che di nuovo hai udito? [Anti.] Un tabellario, da Drepano venuto, novelle ci porta come rotto è stato Barbarossa et Tunisio preso, e'l re Moro restituto, et a Carlo quinto Imperatore clementissimo fatto tributario. [Nico.] O felice giorno, o desiderata novella. [Anti.] Andiamo dentro ale case nostre, per far participi i nostri [C:36v] di sì buona, et allegra201 nova. [Nico.] Non tardamo più. [Anti.] Io vuo' a casa. Resta con Dio. [Nico.] E Dio sia teco.
Fine del Primo Dialogo
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